La carenza di medici e il mago Silvan

“La fantasia al potere” era lo slogan che aveva caratterizzato il 1968, un anno dove la vostra cronista non si era ancora degnata di venire alla luce la qual cosa oggi mi riempie di civettuola e femminile felicità.

Ma “la fantasia al potere”, in questa strana primavera del 2019, sembra essere diventato il leitmotiv, per dirla alla Wagner, di molti politici regionali che sembrano essersi scatenati per trovare finalmente una soluzione alla carenza di medici nelle strutture sanitarie pubbliche, una carenza così grave che mette a serio rischio la sopravvivenza stessa del Servizio Sanitario Nazionale. Meno male diranno gli ormai famosi lettori sopravvissuti non solo alla notizia in se ma soprattutto al ripetersi delle grida di dolore, grida e non gridi perché mi appare più musicale anche se in effetti l’uso del termine gridi evocherebbe meglio le esortazioni al combattimento che la materia qui trattata impone.

Passo indietro. Carenza di medici e silenzio della politica, lo abbiamo detto più volte ma ecco che all’improvviso dal cilindro del mago Silvan - ma si possono fare gli auguri anticipati di buon compleanno al simpatico illusionista nato il 18 maggio di un anno che è superfluo ricordare tanto con una magia lo cambia? - i nostri politici delle regioni a nord e a sud dell’Arno ti tirano fuori la sorpresa.

Toscana: per potenziare i servizi di emergenza la Regione ha deciso di reclutare anche medici non specializzati e neo laureati.

Piemonte: chiamata di medici a gettone.

Veneto: accordo con la Romania, tenetevi forte, per assumere medici specializzati in quel Paese ovvero finanziarne il completamento della specializzazione in Italia.

Molise: richiamati al lavoro i medici in pensione.

Friuli Venezia Giulia: guarda ai medici oltre confine, in particolare alla Croazia.

Lazio: chiamata di medici a gettone.

L’elenco ovviamente è in continuo aggiornamento perché non si possono mettere limiti alla fantasia. Va tutto, o quasi, bene. Meglio assumere iniziative per fronteggiare la carenza di medici che rimanere inerti. Tuttavia non si potrebbe più semplicemente cercare di assumere i medici senza farli passare attraverso quegli acronimi che davano e danno tanto sia di precarietà duratura sia di prodotti caseari o vinicoli, co.co.co. e co.co.pro? Con tanto di fustella attestante l’origine e la denominazione controllata e garantita.

Il dottor Luciano Cifaldi, segretario della Cisl Medici Lazio, è stato per quasi due anni, fino a febbraio 2018, direttore sanitario aziendale in una Asl di frontiera, quella di Latina, dove il problema del precariato era particolarmente grave ed importante.

È vero, una Asl difficile ma con grandi professionalità e grandi potenzialità. A partire dai primi anni del 2000, a causa del blocco delle assunzioni, l’Azienda Sanitaria di Latina, analogamente a quanto avvenuto quasi ovunque, fu costretta ad assumere numerosissimi dipendenti a tempo determinato per garantire i servizi sanitari ed i livelli assistenziali creando di fatto molte sacche di precariato. Per molti anni il problema stabilizzazioni e procedure concorsuali non venne affrontato e non certo per indolenza gestionale o mancanza di volontà politica. Erano gli anni centrali del blocco delle assunzioni e del turn over, del catastrofico deficit della sanità nel Lazio, regione sottoposta a piano di rientro. Il decreto n. 403 del 2016 del Commissario ad acta per la sanità del Lazio ha rappresentato un punto di svolta in quanto vennero approvati i budget assunzionali per le Asl e le Aziende ospedaliere per gli anni 2016 e 2017. Lo stesso Dca autorizzava l’indizione delle procedure selettive concorsuali. In particolare il Dca statuiva, nella parte dispositiva, che “I concorsi sono indetti da una Azienda incaricata, con la previsione di altre Aziende aggregate che possono attingere in via prioritaria dalla graduatoria”, precisando ulteriormente che “La graduatoria ha valenza regionale, con la conseguente cancellazione dalla stessa del soggetto che accetta o che non risponde nei termini alla richiesta di assunzione dell’Azienda”.

Ricordo che nella primavera del 2017 erano presenti 578 dipendenti assunti a tempo determinato presso la Asl di Latina di cui 514 già allora interessati al processo di trasformazione dei rapporti in essere, in rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Quei dipendenti precari costituivano oltre il 17%, della dotazione organica dell’Azienda ed appartenevano a diverse aree e profili professionali.

  • 195 dipendenti all’Area della Dirigenza Medica;
  • 7 dipendenti all’Area della Dirigenza Spta;
  • 376 dipendenti al Comparto.

Come ho già detto l’assunzione a tempo determinato di questi dipendenti era avvenuta gradualmente, nel corso degli anni. Molti rapporti di lavoro erano iniziati addirittura in data antecedente l’anno 2008. Per avviare il percorso finalizzato alla risoluzione del problema grande è stato lo sforzo della direzione strategica, in primo luogo l’allora commissario Giorgio Casati, oggi direttore generale sempre a Latina, che ci mise l’anima e il corpo. Fu una grande responsabilità ed un grande onore lavorare al suo fianco. Un ruolo importante lo svolsero anche il consigliere regionale del Partito Democratico Enrico Forte e il Consigliere regionale di Forza Italia Giuseppe Simeone, che furono promotori di una legge regionale bipartisan dimostrando non solo un giusto attaccamento al territorio pontino ma anche un alto profilo istituzionale.

La Regione Lazio, maggioranza ed opposizione, ha fatto e sta facendo ogni sforzo per stabilizzare i precari ed il fenomeno appare ormai residuale. Il problema però oggi è un altro. Non si trovano più medici specialisti in diverse discipline e l’erogazione dei servizi è a rischio un po’ ovunque.

Il calcolo è semplice e triste al tempo stesso. Ogni anno si laureano diecimila medici in Italia ed ogni anno purtroppo se ne possono specializzare solo seimila. Spesso mi chiedono se non può essere più semplice, conveniente, utile, meno costoso, fare una legge, magari una leggina, che per un periodo determinato possa consentire ai medici a spasso o con la valigia in mano di specializzarsi a prescindere dal numero chiuso e dalla attribuzione di borse di studio. Mi creda, non ho una risposta a questa domanda così chiara e così disarmante nella sua logica.

Non lo vuole l’Europa” obietterà qualcuno.

Già, quella stessa Europa cui noi ogni anno regaliamo l’equivalente di un paio di Ferrari (il mitico prodotto di Maranello, non le pur deliziose bollicine del Trentino) ogni volta che un nostro medico, formatosi qui in Italia, per scelta o per necessità decide o è costretto a trasferirsi all’estero per trovare un lavoro che non abbia acronimi ne ricordi coi gettoni le cabine telefoniche della vecchia Sip. Un lavoro che non abbia dunque acronimi e giravolte letterarie in burocratese ma che abbia di base un semplice concetto: lavoro a tempo indeterminato.

Conferenza Stato-Regioni, Ministero dell’Economia e Finanze, ministero della Salute, comandante Matteo, Giggino, se ci siete battete un colpo: mica possiamo finire per precettare nelle corsie dei nostri ospedali pure i laureati in medicina honoris causa. E mica possiamo confidare nelle magie del mago Silvan: Sim Sala Bim.

@vanessaseffer

Aggiornato il 13 maggio 2019 alle ore 20:17