Salute nel Lazio: parla l'assessore D'Amato

venerdì 26 aprile 2019


Da tempo ci occupiamo di sanità, dei suoi problemi di carattere nazionale ma anche di quanto la nostra sanità sia sempre tra le migliori al mondo, nonostante tutto. Affrontiamo il tema parlando spesso del Lazio con i suoi pro e i suoi contro, discutendone con medici, professori, direttori generali di Asl, politici, grandi nomi della televisione, dell’università, della magistratura, dei sindacati. Ma sentiamo doveroso il confronto con chi si occupa quotidianamente di sanità mettendoci la faccia e non solo dal nono piano del palazzo della Regione Lazio: l’assessore alla Sanità e Integrazione Alessio D’Amato.

 

Come si conciliano le esigenze della politica locale che pressa con forza per mantenere i punti di erogazione dei servizi, specie in territori periferici, in primo luogo i Pronto Soccorso, con la sempre più grave carenza di medici specialisti in alcune discipline quali l’emergenza, ma anche in pediatria? Quali iniziative avete intrapreso o intendete intraprendere?

Abbiamo in corso una politica di reclutamento del personale, queste attività, in particolare quella dell’emergenza è necessario che vengano svolte da personale qualificato e anche motivato. Voglio dare solo un dato per far capire lo sforzo che sta facendo questa regione che già da gennaio ha in corso numerose procedure concorsuali, abbiamo già dato oltre 1.500 unità di personale, proprio per andare ad implementare i servizi, a partire dalla rete dell’emergenza. Per quanto riguarda il rapporto con il territorio abbiamo istituito in questi mesi delle misure importanti, in collaborazione con i pediatri in libera scelta; abbiamo 18 strutture sul territorio aperte anche il sabato e la domenica e nei festivi, che sono state aperte anche a Pasqua e Pasquetta, che garantiscono di interloquire con un medico pediatra, in questo caso, dalle ore 10 alle ore 19. Oltre a queste strutture sono aperti 38 servizi gestiti dai medici di medicina generale, anch’essi con la continuità assistenziale il sabato e la domenica e durante i giorni festivi. Questo è stato un elemento teso non solo a guardare all’accesso dei Pronto Soccorsi ma anche alla rete territoriale, perché comunque i due terzi di coloro che si recano nei Pronto Soccorsi in realtà sono codici verdi o bianchi, non hanno un reale pericolo di vita in corso. Per dare un’idea oggi si recheranno al Pronto Soccorso circa cinquemila persone nei nostri 44 Pronto Soccorso, di questi circa un 5 per cento hanno un reale pericolo di vita, il cosiddetto codice rosso; gli altri si suddividono in gialli, intorno al 20/25 per cento, e il restante sono i codici verdi a bassa complessità e i codici bianchi. Per cui sono come i vasi comunicanti, quando ci si occupa delle emergenze bisogna anche occuparsi del potenziamento territoriale, per evitare che il cittadino trovi come unica interlocuzione il Pronto Soccorso. Questo è il nostro obiettivo e stiamo già facendo molte cose, ma tante altre dobbiamo farle.

 

Liste d’attesa: cosa pensa della possibilità di aprire alle strutture accreditate di erogare tramite Cup le prestazioni più critiche?

È un obiettivo importante per noi, tant’è che abbiamo lavorato con tutte le strutture accreditate affinché mettessero a disposizione le loro agende al servizio del Cup perché i loro sistemi informativi dialogassero con i nostri sistemi. Il percorso è ad uno stadio avanzato, per cui già dai nuovi contratti che verranno prodotti per acquisire prestazioni dal servizio privato accreditato, verrà chiesto loro di mettere a disposizione almeno il 60 per cento delle loro agende presso i servizi di prenotazione del Cup, questo da un lato per agevolare i cittadini che nel momento in cui chiamano il Cup possono avere le prestazioni non solo nel sistema pubblico ma anche nel privato accreditato, che di fatto erogano servizi pubblici, perché l’accreditato rientra comunque nel servizio sanitario. Inoltre abbiamo superato le difficoltà della rete informatica e questo sarà un elemento che contribuirà a governare il processo delle liste d’attesa.

 

Direttori Generali: sceglierete davvero i migliori dopo le polemiche legate a criteri di selezione che qualcuno ha criticato per una possibile scarsa trasparenza?

La legge nazionale è stata riformata da poco, due anni fa, e ha modificato le regole d’ingaggio. Oggi c’è un albo nazionale che viene gestito dal Ministero della Salute attraverso l’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, e come prevede la legge, la Regione fa una selezione nell’ambito di coloro che sono già idonei nell’albo nazionale e la selezione la fanno soggetti terzi all’amministrazione. In questo caso abbiamo nominato tre soggetti: uno indicato da Agenas, uno indicato dal sistema universitario e della ricerca e l’altro era un soggetto nostro. Per cui su tre uno era interno e due esterni. Questo ha garantito a nostro avviso una selezione basata su profili attinenti ai posti che dovevano essere ricoperti, non abbiamo avuto grandi difficoltà. Se il Parlamento vorrà rimodificare la legge noi ci atterremo a quello che verrà fatto, ma ci stiamo muovendo all’interno di un quadro legislativo. Poi io dico sempre a tutti i nostri collaboratori che vanno selezionate le persone che hanno maggiore attitudine a svolgere quell’incarico e valutati i profili attitudinali e curricolari se ne ha un vantaggio per il sistema. Per cui non ci interessa tanto un rapporto solamente fiduciario, ma un rapporto professionalmente valido che possa portare un beneficio al lavoro che la Regione sta facendo.

Ci riassume gli ultimi sei anni di vita tra deficit, cabina di regia, assessorato e, magari, prospettive future?

Certamente. Gli ultimi anni sono quelli che stanno consentendo a questa Regione di uscire da una lunga stagione di commissariamento. Il Lazio era un po la pecora nera d’Italia come sistema sanitario. Qui si produceva la metà del disavanzo nazionale e dieci anni fa la metà dei disavanzi era oltre sei miliardi a livello nazionale e il Lazio aveva una quota importante di questo disavanzo, perchè era di circa due miliardi. A fronte di questo si producevano Livelli essenziali di assistenza (Lea) al di sotto della soglia di adempienza che lo Stato prevede, per cui il sistema laziale era caratterizzato da grandi disavanzi e da bassa qualità. Oggi è completamente diverso. Noi abbiamo una spesa sotto controllo, un disavanzo azzerato, sono migliorati i trend dei Lea, non da oggi ma l’ultimo dato che ci ha certificato il ministero dice che abbiamo un punteggio di 180 su una soglia minima che è di 160 e desideriamo ancora migliorare. Alcuni indicatori sono importanti, quelli sugli esiti di cura, poi abbiamo migliorato molto sulle prestazioni cardiovascolari, sul trattamento dell’infarto al miocardio entro i 90 minuti, abbiamo migliorato molto anche sul trattamento del femore delle persone anziane entro le 48 ore. C’è stato un lieve miglioramento, anche se si può fare di più, nel trattamento e nella riduzione dei parti cesarei, che per la prima volta in questa regione si è scesi sotto al 30 per cento, siamo intorno al 26 per cento. Il Lazio è la regione leader a livello nazionale per quanto riguarda i vaccini in età pediatrica. C’è una copertura di oltre il 97 per cento grazie all’anagrafe vaccinale che è stata fatta in collaborazione con le scuole. C’è stato un lavoro molto importante. Adesso bisogna impegnarsi di più nella rete territoriale, nella presa in carico dei cronici, un elemento dirimente se si vuole dare una qualità al servizio; poi nell’assistenza domiciliare, perché il Lazio, ma in generale il sistema italiano, andrà sempre più incontro a patologie legate all’invecchiamento, vista l’aspettativa di vita in aumento e questo per noi significa migliorare la qualità dei servizi, quindi più programmazione. Poi grande attenzione alle malattie degenerative che hanno bisogno del supporto territoriale. Queste saranno le sfide dei prossimi mesi ed anni. Il Lazio a livello nazionale ha le carte in regola per uscire da questa lunga stagione di commissariamento che è iniziata 12 anni fa ed è stata una cura dimagrante molto importante per questa Regione perché la leva principale è stata quella del blocco del turn over. Noi abbiamo avuto per 8 anni un blocco al 90 per cento, significa che su 100 dipendenti che andavano in pensione o si dimettevano per andare a lavorare fuori regione, ne potevi reclutare solo 10. Questo ha significato un’azione di dimagrimento di circa novemila unità fra personale medico e infermieristico per cui una cosa molto importante. Noi abbiamo circa 50 mila unità di personale per cui un’azione molto significativa.

 

Un vero dramma, il blocco del turn over al 90 per cento. È stato un vero impoverimento di interi reparti e discipline. Tanti i punti di erogazione da tenere in piedi anche se con cinquantamila dipendenti, con tutti i problemi che la Sanità italiana si ritrova, come la mancanza del personale medico!

La macchina della sanità è molto complessa e fa dei numeri molto importanti. A volte diamo tutto per scontato, però una nostra giornata tipo è davvero particolare. Io ho lì davanti a me sempre i risultati del nostro lavoro di ogni giorno (l’assessore mi mostra delle pagine attaccate alla parete di quello che è un giorno in sanità nel Lazio) e questo per esempio è ciò che succede in un giorno: 291.967 visite specialistiche ambulatoriali; 130 nascite; 1074 interventi chirurgici; 5.326 accessi al Pronto Soccorso; 56.673 pasti serviti in ospedale; 1.024 Tac; 1 trapianto effettuato; 1 nascita durante un trasporto in elicottero; 1.110 trasporti in ambulanza; 516 sacche di sangue da donatori; 2.466 ricoveri in strutture ospedaliere; 1.109 risonanze magnetiche; 6 trasporti in eliambulanza e 12.000 referti on line. Nonostante la cura dimagrante il sistema funziona ed è più forte di prima, il Lazio ha le carte in regola per dire la sua anche a livello nazionale. Qui viene formato circa il 25 per cento dei medici e dei professionisti sanitari italiani, perché abbiamo sei facoltà universitarie, per cui c’è una ricchezza molto importante. Nel Lazio viene prodotto il 38 per cento dell’export farmaceutico del Paese a livello europeo, vale circa 9 miliardi. L’Italia è il primo paese per export farmaceutico, ha recuperato persino la Germania, ciò significa soprattutto ricerca, innovazione, nuove molecole, una ricchezza che va migliorata e va protetta. Ma soprattutto va fatto in modo che ci sia un ricambio generazionale per poter passare il testimone.

 

Avete lavorato molto sulla trasparenza dei dati, per questo avete presentato il portale Open Data opensalutelazio.it?

Ciascun cittadino adesso può andare sul web e vedere che esistono e sono accessibili in tempo reale i dati sullo stato di salute della popolazione. Ognuno può andare su opensalutelazio.it e trovare tutti gli indicatori di salute, i tassi di ospedalizzazione, di nascite, di mortalità, le principali patologie, i servizi offerti dalla nostra sanità nel Lazio. Questo lo abbiamo messo a disposizione prima di tutto per i nostri professionisti affinchè possano pianificare correttamente sul territorio ma anche per le associazioni, i cittadini, i malati, per avere un livello di conoscenza delle principali patologie. Sono on line anche tutti gli accessi ai Pronto Soccorso, basta andare su una app e vedere in tempo reale quali sono gli accessi che vengono aggiornati ogni sei minuti. Il tema della digitalizzazione sarà centrale per migliorare l’assistenza, per sburocratizzare il sistema. A medio termine il cittadino deve poter entrare nel sistema e prenotare la sua prestazione, poter avere un segnale dal sistema che gli ricorda che a breve dovrà ricevere la sua prestazione per poterla confermare, poiché spesso succede che almeno ad un 20 per cento delle prenotazioni non segue una presentazione dell’utente presso la struttura dove è prenotato e questo non favorisce le liste d’attesa.

 

Le voci a Roma sono come un venticello fastidioso: è vero che nella lista dei Direttori Generali era presente un nome interessato da un provvedimento giudiziario restrittivo in Umbria?

Si, ma che non aveva quando si è formato il processo di selezione che è durato qualche mese, a cui hanno aderito numerosi professionisti, sia della nostra regione che provenienti da altre regioni. A noi fa piacere che il Lazio sia un elemento attrattivo per professionalità provenienti da altre regioni pure molto distanti da noi. Nel momento però in cui si è venuti a conoscenza di novità legate alle note vicende, così come prevede la legge, questi sono stati sospesi dall’elenco. Confermo che c’era ma non potevamo sapere che sarebbe accaduto ciò che poi è accaduto. Per noi è ininfluente, perché chi è oggetto di queste attenzioni deve chiarire la sua posizione e per quanto ci riguarda è sospeso ed ha un bollino rosso.

 

Parliamo di Rems. Ce ne sono 5 nel Lazio e questo è un dato molto importante è una regione all’avanguardia, con 91 posti letto che adesso non bastano più. Anche qui si soffre di lista d’attesa. Come si può migliorare questo problema essendovi un problema mentale alla base dell’accoglienza in queste strutture. Lei, in qualità di Assessore regionale alla Salute siede al tavolo che si è costituito per parlare di questa problematica insieme ai sindaci dei Comuni coinvolti, agli psichiatri, al direttore generale delle Asl di competenza, al magistrato e ad alcuni rappresentanti dei pazienti stessi e al Garante dei detenuti del Lazio.

Le Rems nascono per svuotare gli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), questo alla base per cui il legislatore ha voluto la norma nazionale cui abbiamo dato seguito. Per quei pazienti che stavano negli Opg, circa 500 persone a livello nazionale, di cui il Lazio ne aveva circa 90, avevamo commisurato le strutture. Per cui abbiamo aperto cinque Rems, di cui una interamente femminile. Oggi c’è un fenomeno nuovo, avvertiamo un fabbisogno crescente, non si tratta più di accogliere chi viene fuori da altre strutture. C’è una tendenza ad inviare ulteriori pazienti critici o che sono in attesa di giudizio oppure che devono scontare misure restrittive della libertà personale e quindi stiamo cercando di capire e aggiornare queste necessità assieme alla magistratura e agli operatori sanitari. Se ne parla a questo tavolo che è stato istituito e noi siamo già adesso nelle condizioni di poter ampliare la parte che riguarda le Rems femminili e dall’altra altre quattro strutture e poi verificare la possibilità di costruire delle strutture intermedie che in qualche maniera possano soddisfare l’esigenza per coloro che hanno reati più lievi. Perchè nelle Rems vanno una molteplicità di soggetti che vanno da coloro che hanno sulle spalle reati importanti contro la persona, come gli omicidi, a piccoli reati come oltraggio a pubblico ufficiale, ma è un lavoro che va fatto insieme alla magistratura, perchè sono meccanismi che chiamano in causa più soggetti. Noi abbiamo dato la massima disponibilità.

 

Violenze contro i medici e gli operatori sanitari: sono fatti quotidiani, si arriva a gesti di entità importanti. Un vero e proprio assalto alla diligenza e nessuno sa davvero come intervenire nei Pronto Soccorso, negli ambulatori, nelle strutture territoriali, e non viene risparmiato nessuno, in particolare le donne col camice e non a caso negli orari serali e notturni.

Sono fenomeni purtroppo in aumento, credo derivi da un lato da un rapporto culturale di fiducia tra medico e paziente che va ricostruito e dall’altro che il sistema sanitario non è scevro da alcune condizioni di un contesto complessivo in cui la violenza è un elemento abbastanza presente. Non scordiamoci che i Pronto Soccorso sono forse l’unico punto dello Stato in cui si può accedere h24, sette giorni su sette, anche senza documenti, senza soldi, e i medici sono tenuti a prendere in carico chiunque arrivi da loro e si sente male. Non è una cosa banale, non è scontata. In questi anni lo Stato si è ritratto da alcune posizioni: abbiamo caserme dei carabinieri che chiudono alle 14, devi suonare il campanello; il Pronto Soccorso invece è sempre aperto. Da dieci anni a questa parte le postazioni di polizia negli ospedali, che erano un deterrente nei confronti dei soggetti che creano violenza, per motivi complessi di tenuta economica sono venute meno, e ci sono pochissimi ospedali che le hanno ancora. Stiamo facendo un grande lavoro con gli ordini dei medici e i professionisti, di conoscenza del fenomeno e di sostegno e tutela legale, abbiamo avuto casi molto seri. Ho scritto di recente a tutti i Prefetti per coordinarci e soprattutto nei centri nevralgici avere una presenza fisica delle forze dell’ordine.

@vanessaseffer

 


di Vanessa Seffer