La Repubblica della gogna (ma c’è un giudice a Berlino)

lunedì 15 aprile 2019


Solo per citare gli ultimi episodi di damnatio memoriae, ricordiamo quello che ha visto come fulgido protagonista il vicepresidente Luigi Di Maio, fulmineo nel novembre scorso nel lanciare i suoi strali contro l’allora candidato sindaco del Movimento 5 Stelle a Corleone, Maurizio Pascucci, reo di aver detto di voler aprire un dialogo con i parenti dei mafiosi e di essersi fatto fotografare al bar insieme al nipote acquisito, ed incensurato, del boss defunto Bernardo Provenzano.

In quell’occasione Di Maio aveva rinunciato, via smartphone, al comizio finale della campagna elettorale e dichiarato di voler chiedere l’intervento dei probiviri del partito per procedere all’espulsione del malcapitato Pascucci, ridotto nel giro di poche ore a paria, a reietto. Evidentemente, per Di Maio, le colpe dei mafiosi ricadono ipso facto sui parenti, a prescindere dalle fedine penali di quest’ultimi e da cosa facciano della loro vita.

Nel gennaio dell’anno in corso era poi scoppiata la polemica nei confronti della figlia di Totò Riina, lapidata da parte della stampa perché ha aperto a Parigi un Corleone by Lucia Riina. Il sindaco del paese siciliano aveva chiesto l’intervento del ministro degli Interni per impedire che una libera cittadina potesse richiamare nel nome del suo ristorante il paese che le ha dato i natali.

Ma l’ultima perla della Repubblica della gogna ce l’ha regalata assai recentemente proprio il Viminale. Gisella Licata, laureata e incensurata, vince un concorso indetto dal ministero dell’Interno, ministero che ha poi bloccato nel febbraio scorso l’assunzione. La malcapitata è infatti figlia di un pluriergastolano. E allora? Allora recita la nota del Viminale, “si verrebbe a configurare una situazione inconciliabile rispetto all’immissione nei ruoli di questa amministrazione, nella quale vengono svolte funzioni di particolare delicatezza, anche in materia di pubblica sicurezza”. Si rendevano necessari insomma approfondimenti “in ordine al possesso delle qualità morali e di condotta incensurabile”.

Ma per fortuna c’è un giudice a Berlino. Il Tar del Lazio ha infatti accolto il ricorso della Licata perché il ministero ne avrebbe sospeso in modo illegittimo l’assunzione, in attesa che, presumibilmente, una parola definitiva sulla questione la pronunci il giudice del lavoro ponendo, confidiamo, un argine a questa degenerazione illiberale e mortificante lo Stato di diritto che ha infettato anche le istituzioni dello Stato.


di Luca Tedesco