Pedofilia: è il Vaticano a “gonfiare” il fenomeno?

martedì 26 febbraio 2019


Non sono credente. Sono, da lungo tempo, convinto anticlericale. Non ho mai concepito atteggiamenti persecutori o discriminatori nei confronti dei Cattolici ed ho sempre cercato di essere tollerante nei confronti, se non dell’intolleranza in sé, dei Cattolici intolleranti. Sono cresciuto in una famiglia di non certo qualificabile come “bacchettona” o “baciapile”, nettamente avversa politicamente “al governo dei preti”.

Ho vissuto in un paesino, in una cittadina e in una città, tra gente di ceti diversi. Non sono stato mai portato, né ho mai ritenuto vi fosse motivo di farlo, a difendere preti, frati, monache, vescovi e Papi da dicerie e luoghi comuni diffamanti, ma non ho mai ritenuto di dovermi fare di tali diffamazioni diffusore e sostenitore.

Ho sempre provato per le professioni o le prescrizioni celibatarie e sostanzialmente sessuofobiche della Chiesa Cattolica un senso di diffidenza e non ne ho mai compreso appieno la necessità e l’universale valore, che sembra a tali condizioni attribuire la Chiesa di Roma, tra l’altro come condizione distintiva da altre confessioni Cristiane tra l’altro necessarie per accedere al sacerdozio e nella scala della gerarchia clericale.

Ho sempre sentito, da quando ho l’età della ragione e l’orecchio per cogliere voci altrui, storie, insinuazioni, racconti, giudizi, implicite allusioni alle violazioni di tali precetti da parte del clero Cattolico. Allusioni a certe tendenze omosessuali del clero, magari proprio di quello più “alto” ne ho sempre intese. Spesso ne ho dovuto constatare la mancanza di prove, tale da farle ritenere più corrivi mezzi di dileggio che non convinzioni circa l’entità del fenomeno. Del resto, anche tra i meno raffinati esponenti di un anticlericalismo popolare, se la castità degli ecclesiastici era considerata non senza ragione una bugia per i gonzi, le allusioni e, soprattutto, le storie di omosessualità del clero erano assai meno diffuse e condivise. La mia familiarità, da lungo tempo acquisita con quella miniera di antica cultura e subcultura popolare che è G.G. Belli, mi ha confermato il convincimento che monasteri, curie e parrocchie non dovessero essere quei luoghi di elevazione dello spirito che si vuole siano, ma nemmeno suole di “perversione” omosessuale come qualche voce andava asseverando.

Peraltro, non mi sfuggiva che negli ultimi tempi la Chiesa dovesse aver qualche motivo particolare per sbandierare la sua “crociata” contro l’omosessualità al suo interno, probabilmente, uno strumento di “lotta interna”.

Così, quando sono cominciate ad arrivare notizie di campagne anche giudiziarie per casi di pedofilia e di omosessualità verificatesi nelle parrocchie, seminari, congregazioni, scuole e associazioni giovanili italiane e straniere, più che per i fatti denunciati ho provato un certo stupore per la loro denuncia ed il clamore che la stessa Chiesa ha dato ad esse. Difficoltà di comprendere la reale portata di quegli avvenimenti, opinioni, polemiche è per me e, certo, per molti altri, dipendenti, anche, dalle caratteristiche che il “contesto americano” dei casi più noti, delle richieste di danno e di cifre delle loro entità, rappresentava e rappresenta per chi è abituato ad altri sistemi di giustizia quale quelli nel nostro Paese.

Sono passati gli anni e quello della pedofilia in seno alla Chiesa Cattolica ha continuato ad essere un grosso problema di attualità. Contrariamente al solito ed alle abitudini della Chiesa, che aveva sempre “minimizzato” ogni altro episodio poco commendevole accaduto nel suo ambito, ben presto si è dovuto prendere atto (così credo) che la Chiesa ha, invece, dato e dà di questo fenomeno al suo interno una immagine ed una valutazione etico-sociale non meno diffusa e grave, ma probabilmente, più vasta di quella esistente nella società in genere e nel mondo “laico”.

Si tratta (questo è il punto) di un errore per eccesso di valutazione dipendente dalle impressioni prodotte oppure di un costume deplorevole che, negli ambienti ecclesiastici (dei quali ho scarsa conoscenza) sia effettivamente assai più diffuso che non in altri? Perché le denunzie, gli scandali, le condanne, le invocazioni dell’aiuto divino che dai Papi e dalla Chiesa si levano, riguardano sicuramente, prevalentemente, se non esclusivamente, casi in cui sono coinvolti ecclesiastici o, comunque che si verificano in ambienti vicini alle istituzioni ecclesiastiche?

Ed allora è d’obbligo una osservazione. Il fenomeno della pedofilia e quello contiguo dell’omosessualità sono assai più diffusi nell’ambiente ecclesiastico tra chierici, monsignori, seminaristi etc. che non tra i cittadini del laico “comune”, oppure è il clamore che la Chiesa, abbandonato il costume che in passato lo ha portato a coprire siffatti “scandali”, con tali clamorose reazioni porta a far apparire più grave proprio il fenomeno al suo interno che non quello al suo esterno?

Non sono risposte facili a darsi senza studi, esami di statistiche, di atti giudiziari etc. etc.. D’altro canto, se effettivamente il Papa ed i Vescovi dovessero veramente far fronte ad un fenomeno che, nelle sue dimensioni e nella sua gravità fosse così fortemente più rilevante nella Chiesa che in altri ambiti, allora occorrerebbe domandarsi come mai la Chiesa stessa non si preoccupi non tanto e non solo del fenomeno in sé della pedofilia, ma della sua dipendenza, da una sua particolare capacità di attecchire in una società di celibi, in lotta per la repressione della stessa naturalezza dei rapporti tra i sessi. Una società “monosessuale” in sé abnorme.

Che cosa la Chiesa si propone? Perché insiste sul celibato dei preti? (che non è articolo di fede). Ed allora perché voler tenere in piedi quello che diventa terreno di coltura, fabbrica della pedofilia?

Di risposte, in verità ne possono essere date molte e di assai diverso tenore. Tra queste anche quella che il Vaticano si appresti oggi a smantellare tale edificio, e generare una rivoluzione rispetto alla tradizione di quella sorta di culto della castità e del celibato che per più di un millennio essa si è affannata a costruire intorno a sé stessa e che, però, non può essere demolita d’un colpo. E che non deve apparire come un fenomeno che si vada imponendo per forza propria. Ciò è possibile.

Oggi, non posso che guardare ad una tale evenienza che con scetticismo e con ironia per la nostra stessa volontà di essere ottimisti.


di Mauro Mellini