Idee incatenate

Il “Migration Compact”? Grazie all’Autorità garante per le telecomunicazioni (AgCom) l’Accordo internazionale (non vincolante) sulle migrazioni dell’Onu, malgrado l’Italia non sia tra i Paesi firmatari, è stato surrettiziamente integrato, con particolare riferimento all’Obiettivo 17, paragrafo 33-c, nel sistema dei nostri controlli interni sui media nazionali. Senza alcun contraddittorio di sorta, il Garante ha messo a punto un catalogo del politicamente corretto per censurare network e opinionisti che, direttamente o indirettamente, incitino all’odio razziale contro gli immigrati o altri gruppi vulnerabili. Le suddette violazioni etico-deontologiche saranno punibili con ammende pecuniarie fino a 250mila euro di multa. La cosa curiosa è che questo nuovo “Grande Fratello” dovrà munirsi di legioni di segugi per scoprire l’esercito di coloro che “ripropongano attraverso i media letture semplicistiche e stereotipate di fenomeni complessi quali l’immigrazione e l’integrazione, travisando la veritiera e oggettiva rappresentazione dei fatti stessi”. Gli uomini liberi non possono che tremare quando dall’alto si pretendano di fissare le modalità con le quali si accertino “oggettivamente” la veridicità e dei fatti e delle opinioni espressi.

Pensate a che cosa vorrebbe dire assicurare la “par condicio” tra opinioni e interessi opposti in talk-show già per sé affollatissimi e ancora peggio gestiti, in quanto a incapacità manifesta dei conduttori di mettere ordine alla babele incontrollabile delle molteplici voci sovrapposte. L’intervento non è certamente indolore per la libertà di stampa (infatti: che cosa vuol dire assicurare il contraddittorio all’interno di editoriali d’opinione?) e tantomeno è utile per contrastare gli “hate peech”, ovvero i discorsi da basso ventre che fanno gli odiatori seriali sui social, visto che si parla del catalogo di audiovisivi diffusi attraverso YouTube, ma non di quelli infinitamente più numerosi veicolati nei gruppi chiusi di Facebook. Pensate voi che cosa sarebbe successo all’epoca delle lotte operaie se si fosse impedito ai vari gruppuscoli sindacalizzati o extraparlamentari di diffondere in strada e nelle fabbriche i loro volantini e ciclostilati carichi d’odio contro i “padroni” e le forze dell’ordine. Tanto più che esiste un’ampia tutela giurisdizionale per la denuncia a querela di parte per chi si renda responsabile di dichiarazioni ritenute ingiuriose.

Non si capisce, quindi, che cosa voglia dire questa pretesa di proteggere il grande pubblico dai dispensatori di odio. Semmai, come la storia recente in tutto il mondo sta dimostrando, è proprio la ferrea dittatura del “politically correct” ad aver resuscitato i peggiori fantasmi del Novecento, grazie al bavaglio planetario che è stato fatto indossare agli operatori e opinionisti dei media e della carta stampata. Tra l’altro, colgo l’occasione per osservare come in realtà l’accesso degli opinionisti e degli esperti all’agorà nazionale dei talk sia riservato a un ristrettissimo “cerchio magico” di cui mi sfuggono completamente (ma forse no) le regole di cooptazione. Quindi, vorrei proporre un rimedio drastico a questo spiacevole andamento delle cose. Vedrei con grande favore che la stessa Autorità garante si facesse promotrice di un altro, ben diverso regolamento che prevedesse un elenco nazionale aperto e organizzato per merito professionale, anzianità e… “chiara fama” di colleghi giornalisti di tutte le tendenze politiche dal quale attingere con estrazione casuale e rigorosamente a rotazione gli opinionisti che si candidino volontariamente (con un gettone di presenza calmierato e uguale per tutti!) a partecipare ai dibattiti pubblici televisivi. Così mi sembra molto più democratico, non credete?

Aggiornato il 25 febbraio 2019 alle ore 12:44