“Repubblica”, Calabresi paga lo scontro con De Benedetti

giovedì 7 febbraio 2019


Una brutta pagina imprenditoriale e giornalistica a “Repubblica”. Una caduta di stile. Per ora paga solo il direttore Mario Calabresi lo scontro con il maggiore azionista e fondatore Carlo De Benedetti. Dopo tre anni alla guida del quotidiano diretto per lunghi anni da Eugenio Scalfari e poi da Ezio Mauro il figlio del Commissario Luigi ucciso dalle Brigate rosse ha ceduto al nuovo direttore Luigi Verdelli il comando del giornale che per anni ha voluto essere il punto di riferimento della sinistra intellettuale.

I lettori hanno saputo della rimozione di Calabresi soltanto da una breve nota a pagina 27 dal titolo “Comunicato del Cdr”. Niente editoriale di commiato come è consuetudine giornalistica, niente programma del nuovo direttore. Eppure martedì mattina alle ore 11.19, Calabresi aveva pubblicato un tweet in cui annunciava che lasciava la direzione su “iniziativa dell’editore”. Tecnicamente, per un professionista non si può parlare di licenziamento, ma tale era. Nessuna notizia di un’intesa concordata, come avviene in questi casi. Quali allora le colpe di Calabresi? Era noto da tempo che “Repubblica” era in difficoltà, che sta perdendo copie, che la distanza con il “Corriere della Sera” si allargava e che il piano industriale si era basato soltanto sui sacrifici dei giornalisti.

In una fase in cui tutta l’editoria italiana è in difficoltà i problemi di “Repubblica” potevano rientrare nell’ottica della crisi economica che si è riverberata anche sugli introiti pubblicitari. Il tentativo di incrementare la sfera del digitale non ha apportato grandi benefici mentre il settimanale per eccellenza “L’Espresso” perdeva copie, soldi e influenza politica. Lo sfavillio degli altri settimanali (dal “Venerdì” agli altri inserti) non era più quello dei tempi d’oro. La fusione della società con “La Stampa” e “Il Secolo XIX” non ha apportato quelle sinergie che avrebbero dovuto portare allo sviluppo di un grande polo editoriale con l’apporto dei 17 quotidiani regionali.

Molte cose erano risapute e il Comitato di redazione negli incontri con il nuovo gruppo dirigenziale dopo la costituzione della Gedi aveva sottolineato le criticità della situazione. Nel breve messaggio di addio di Calabresi (sul profilo Twitter personale e non sul suo giornale) sono sottintesi molti fatti. Primo è stato l’editore che ha rotto il rapporto iniziato nel gennaio 2016 succedendo ad Ezio Mauro. Secondo la discesa delle copie arrivata al 14 per cento piano piano andava restringendosi tanto da fermarsi a dicembre 2018 al 7 per cento. Sempre una bella cifra di perdite, considerando la scarsa vendita di quotidiani in Italia. Terzo elemento messo in evidenza da Calabresi è che “i conti sono in regola”. E allora se è esatto “l’orgoglio di lasciare un giornale che ha ritrovato l’identità e una idea chiara del mondo” perché interrompere il rapporto?

Secondo alcune interpretazioni il problema è caratteriale e di contenuti politici. Andando indietro di non molti mesi si ricorda il duro scontro tra Carlo De Benedetti che accusava il direttore Calabresi e repubblica di non avere coraggio rispetto alla situazione economica e politica e la risposta di calabresi con un editoriale. Una circostanza poco consueta nello scenario editoriale italiano in cui l’editore attacca il direttore che aveva scelto. Ora Verdelli, giornalista di lunga esperienza, vice di Paolo Mieli e Ferruccio de Bortoli al Corriere potrà rispondere meglio agli obiettivi del gruppo Gedi? È significativo che all’assemblea di redazione per valutare quanto sta accadendo abbia partecipato “Barbapapà” Eugenio Scalfari nonostante i suoi oltre novant’anni.

 

 


di Sergio Menicucci