Firenze secondo lui

Firenze secondo lui ai telespettatori non è piaciuto. O quantomeno non l’hanno nemmeno guardato, visto che il docu-coso “Firenze secondo me”, presentato da Matteo Renzi, è riuscito a raccattare un misero 1,8 per cento di share ed è stato superato persino da “La Fabbrica dei biscotti” su Tivù 8, un telepanettone rosa in salsa natalizia. Che in altri tempi sarebbe stata una roba da andarsi a nascondere a vita. Le critiche del day after sono state impietose, io invece ne ho apprezzato l’effetto profondamente soporifero: dopo aver compreso appieno che si trattasse di un tentativo di riciclo di Matteo Renzi in veste di conduttore televisivo, perché è giusto che anche gli ex presidenti del Consiglio o sindacalisti e politici di professione abbiano uno straccio di  lavoro oltre al Parlamento, uno straccio di opportunità post disastro elettorale e personale, chiedo venia, ma non ce l’ho fatta, ho acceso la termocoperta e dopo una mezz’oretta mi sono addormentata. Una lentezza inenarrabile e meravigliosamente conciliante.

Bellissime le immagini. Ma d’altronde Firenze è bella di per sé senza alcun merito, se non dei passati mecenati e non certo delle precedenti amministrazioni, inclusa la sua, che l’hanno cementificata e resa invivibile. Interessanti e ben scritti i testi, incomprensibile la scelta del completo blu ministeriale con camicia bianca senza cravatta, voleva fare lo “sportivo”, o è stato semplicemente mal consigliato: per imitare Alberto Angela doveva almeno indossare dei pantaloni di velluto a coste color terra bruciata di due taglie più grandi. (Nota di stile: il completo “serio” con la camicia elegante inamidata va sempre con la cravatta, se no non ti metti il completo).

Direi che il tentativo di sponsorizzazione e/o sondaggio pre-elettorale di gradimento o ai fini di un ricollocamento professionale operato dal manager dei vip e produttore del tutto, il potente Lucio Presta, non ha funzionato un granché: godibile dice qualcuno, sì, d’accordo, ma di una noia mortale. Però, da un sondaggio a campione ai miei vicini di casa ottuagenari che sono la mia salda àncora col Paese reale, è piaciuto.

Impossibile, in questo caso specifico, scindere il programma dal personaggio. Perché quello è un genere di programma che qualsiasi giornalista, anche il più scarso, il più banale, il più raccomandato di ferro anche alle prime armi – e anche non giornalista – potrebbe condurre con un minimo di preparazione e dei bravi autori. Decisamente niente di nuovo quindi. Senz’altro, un bello spot per la città.

E poi, certo che tra vendere sogni, tappeti, pentole e materassi è sicuramente meglio vendere cultura, su questo non ci piove. Difficile però apprezzare questo showman da ballo delle debuttanti, a cominciare dalla zeppola e dall’eccessivo accento toscano, per finire con la indiscutibile somiglianza con Mister Bean: la mia mente faticava a seguire il discorso, troppo presa ad aspettare, tra uno sfondo virtuale e l’altro, il simpatico “scisc” degli sfottò social di cui è stato vittima per lungo tempo.

Una gag improbabile e una risata che però non potevano arrivare, perché a condurre, in fondo, non c’era un comico ma un politico di professione, anche se ormai in Italia spesso le due cose coincidono. Il commento a caldo del suddetto, vista la batosta, è stato che si potrebbe realizzare un format del tipo “Roma secondo me”, “Milano secondo me” con personaggi locali che illustrino le bellezze della loro città. Tanto lui ha capito l’antifona e questa carriera la molla. Gli va riconosciuto che sia una persona che sa quando fermarsi. Insomma Matteo: anche stavolta non hai vinto, ritenta, sarai più fortunato.

Aggiornato il 17 dicembre 2018 alle ore 12:30