Le Rems: parla il procuratore Menditto

Le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) sono il luogo in cui, su decisione del giudice, possono essere destinati gli autori di reato dichiarati incapaci di intendere e di volere. Tuttavia, hanno un carattere residuale. Quindi, prima di disporre l’ingresso in Rems, è necessario prendere in considerazione tutte le altre possibilità non detentive. E se negli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) si configurava il fenomeno degli “ergastoli bianchi”, cioè la possibilità di stare rinchiusi per un tempo indeterminato, la normativa vigente prevede che la durata di una misura di sicurezza in Rems non possa essere superiore al massimo della pena prevista per il reato. Perciò da queste residenze ad un certo punto si esce.

Nel Lazio abbiamo 91 posti letto distribuiti in cinque Rems, tre delle quali sono attive nell’ambito della Asl Roma 5 di Tivoli. Quest’anno è stato definito un progetto unico a livello nazionale, un tavolo tecnico dedicato alle Rems che si riunisce periodicamente per discutere tutte le problematiche inerenti ai pazienti e a queste strutture. Ai lavori del tavolo tecnico partecipano il direttore generale della Asl, i medici, una rappresentanza dei pazienti, i sindaci in rappresentanza dei cittadini delle tre aree dove sono allocate le strutture, il garante dei detenuti e il procuratore della Repubblica.

Da maggio 2016 è arrivato a Tivoli il procuratore Francesco Menditto che per anni è stato presidente di uno dei collegi della sezione per l’applicazione delle misure di prevenzione del Tribunale di Napoli. Menditto, già componente del Consiglio superiore della magistratura e autorevole esperto di antimafia, ha in atto una serie di progetti sulla violenza di genere ed è stato promotore di iniziative giudiziarie “sull’evasore fiscale socialmente pericoloso”, come la confisca del patrimonio di chi aumenta la sua ricchezza a danno degli altri cittadini evadendo le tasse.

Qual è il punto di vista della Procura, del magistrato nei confronti della Rems, dei pazienti e delle strutture?

Da magistrati applichiamo la legge. Per noi la Rems è una struttura sanitaria che serve a curare le persone che accusano una patologia psichiatrica, che hanno commesso dei reati e possono avere ucciso una persona, violentato qualcuno, ma in uno stato di incapacità di intendere e di volere quindi non rendendosi conto, ecco perché vanno curati e quindi ci preoccupiamo da un lato della loro cura in modo che non possano più reiterare il reato e dall’altro avendo il ruolo della difesa sociale che stiano in un luogo che prevede una loro vigilanza, da dove non possano uscire agevolmente e che il luogo sia tale da garantire la collettività, presidi adeguati dove queste persone che non sono in grado di controllarsi autonomamente possano fare e farsi del male. Noi abbiamo questo duplice punto di vista.

Il soggetto paziente sta dentro la Rems, l’idea è che poi venga reinserito nel tessuto sociale, ma sappiamo che non sempre si può e spesso non si potrà mai perché alle volte la riabilitazione è lunga o infinita e inesauribile. La responsabilità della scarcerazione, del fine pena, è del magistrato o del medico?

Nei casi in cui c’è questa riabilitazione con lo specifico percorso terapeutico ciò porta ad attenuare la misura contenitiva, che è pur sempre la misura più grave, con il ricovero nella Rems: in tal senso la persona oltre che curata avrà anche un contenimento nel senso che non può uscire autonomamente perché c’è una vigilanza all’esterno, ci sono dei presìdi che evitano che possa uscire senza il consenso del giudice o dell’autorità sanitaria. Poi ci sono misure più attenuate che pratichiamo e poi può arrivare il momento in cui noi possiamo eliminare queste misure. Noi grazie alla sanità locale e regionale abbiamo un’alta percentuale di persone che entrano in Rems ma escono pure e questo è il primo risultato. Un secondo risultato è che le persone in base al reato che hanno commesso non potranno stare più di un certo tempo nella Rems e quindi esaurito il tempo è come se “avessero scontato una pena”. La questione allora da problema sanitario e di sicurezza diventa problema solo sanitario, nel senso che usciranno dalla Rems e ci saranno i normali contenimenti che ci sono nei confronti delle persone che hanno dei disturbi psichiatrici. Quindi saranno seguiti dal Dipartimento di salute mentale, se necessario saranno messi in una struttura terapeutica riabilitativa, in una comunità. Se poi si manifesteranno delle situazioni acute ci saranno delle situazioni di Trattamento sanitario obbligatorio (Tso). Un concetto però deve essere ben chiaro: non si rimane a vita nella Rems.

Lei arrivando a Tivoli, dove la Asl Roma 5 ha sotto la sua competenza 60 posti letto in tre Rems sui 91 dell’intero Lazio, ha visitato questi luoghi per avere una conoscenza diretta e completa prima di dovere prendere decisioni. Lei reputa che tutti gli altri magistrati, abbiano le competenze per giudicare questo tipo di reati, per poter approcciare queste dinamiche del giudizio? Come ci vogliono dei corsi specifici per la parte sanitaria è auspicabile ci siano anche per quella giudiziaria?

In questo settore non occorre una capacità solo elevata, ma elevatissima. Chiediamo tantissimo sia ai sanitari che si occupano di questa materia sia ai magistrati. Se io dovessi dire che al cento per cento i magistrati che si occupano di queste cose hanno una professionalità superlativa non sarebbe onesto: quello che posso dire è che sicuramente la magistratura ha un’organizzazione ottima per la formazione e che viene investito molto tempo per la formazione dei magistrati. Alcuni sono proprio specializzati solo in questo, parliamo del tribunale di sorveglianza e sono esperti e bravissimi tutti; altri invece lo fanno occasionalmente, non è il loro mestiere quotidiano ma grazie al protocollo, grazie al procuratore generale Salvi, abbiamo previsto che in ogni Procura e in ogni tribunale ci sia un magistrato superspecializzato a cui si rivolgono i magistrati ai quali occasionalmente capita di doversi occupare di questa materia. Questo “super esperto” po’ intervenire per definire soluzioni qualora vi fossero dubbi.

Il soggetto recluso a seconda della sua patologia dovrebbe andare dove è meglio per lui in conformità al suo ottimale Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (Pdta).

Ma noi questo già lo facciamo, ed è proprio questa la nostra scommessa di risolvere a monte il problema. Nel momento in cui o il pubblico ministero o il giudice o il tribunale di sorveglianza necessitano di un consulente tecnico che deve fornirci un orientamento noi diamo delle indicazioni ma vogliamo delle risposte precise: il consulente visita il paziente, recupera tutta la documentazione medica su questo paziente, si mette in contatto col dipartimento di salute mentale e quindi riesce ad avere un quadro il più possibile completo della storia di questo soggetto. Si interfaccia con i professionisti specializzati in ambito Rems ed a questo punto si riesce a definire se questa persona ha bisogno di un contenimento in una Rems o di un intervento attraverso le strutture riabilitative, si definisce in quale struttura mandarlo. Volendo sintetizzare è chiaro che nel momento in cui applichiamo queste misure cerchiamo di avere il bagaglio con tutte le informazioni necessarie per cui quel soggetto andrà nella Rems, sempre che ci sia posto ma questo è anche un altro dei problemi, oppure va in una struttura terapeutica riabilitativa adeguata per cui è stato conservato il posto per il giorno in cui abbiamo emesso il provvedimento.

Un momento estremamente delicato è sicuramente allorquando ci si assume la responsabilità di definire come il soggetto autore di reato non è più socialmente pericoloso e quindi si possa ritenere di revocare la misura.

Si è così. Abbiamo l’obbligo ogni sei mesi di rivisitare la pericolosità del soggetto, quindi se pericoloso continuerà a stare all’interno della Rems per il tempo massimo consentito, perché poi oltre un certo periodo di tempo non si può andare. Ci sono diverse variabili anche a seconda della gravità del reato. Per un omicidio si può rimanere dentro, all’interno della Rems, perché non si può rischiare che si possa commettere un ulteriore omicidio, se si è commessa una lesione personale si sta massimo sette, dieci anni. Per alcuni reati ci può essere un arco temporale limitato, per alcuni casi si va a carico solo del SSN ed il caso diventa prevalentemente di tipo sanitario e può seguito dal dipartimento di salute mentale.

Quali possono essere le criticità delle Rems attenuate?

Due cose: in primo luogo è opportuno che tutti sappiano che nel Lazio ci sono 91 posti e che è una delle Regioni messa meglio da questo punto di vista: ci sono circa 57 persone in lista d’attesa, 57 persone pericolose che dovrebbero entrare in una Rems. Non possono entrarci perché non c’è posto. Hanno una misura più attenuata o stanno in carcere a seconda delle situazioni perché non c’è posto per loro. Secondo punto, l’esperienza ci dimostra che ci sono vari livelli di pericolosità, per alcune è sufficiente anche la Rems attenuata. Certe volte questa può essere un luogo di transito, cioè si esce dalla Rems ordinaria ma piuttosto che andare in libertà si può avere un percorso in questo tipo di struttura e intanto contestualmente viene a determinarsi la disponibilità di un posto nella Rems. Nel tavolo tecnico cui lei accennava se ne è parlato e devo dire che ho trovato espressioni di consenso a favore della Rems attenuata da parte di tutti. Se la Regione Lazio è d’accordo lo siamo anche noi. Si tratta di strutture contenitive ma con minori necessità di sicurezza. C’è il personale di vigilanza ma non in un numero elevato come nella Rems, non ci sono le inferriate a tutte le finestre, ma solo in una parte, ed il contenimento risulta essere appunto più attenuato.

@vanessaseffer

Aggiornato il 15 ottobre 2018 alle ore 12:14