Il Paese dell’anticorruzione

C’era un tempo in cui la corruzione dilagava nel nostro Paese. Imprese che allungavano soldi per accelerare i propri affari; funzionari e classe dirigente che tendevano la mano per incassare, prima che per aiutare. C’era la corruzione perché il controllo era affidato a un ordine isolato di magistrati che poteva intervenire solo dopo, al giungere di qualche notizia e indizio di illiceità.

Si sa, l’occasione fa l’uomo ladro. E tra eliminare le occasioni ed eliminare i ladri si pensò che fosse meglio la seconda alternativa. Splendida intuizione: la burocrazia dell’anticorruzione, con i suoi controlli interni e esterni, i suoi reati, le sue severe pene, avrebbe eliminato le mele marce senza dover mettere in discussione il dogma degli investimenti e delle opere pubblici.

Sarebbe bastato controllare prima che punire, verificare preventivamente ogni singolo passo e procedimento di un appalto, di una concessione, di una gara ad evidenza pubblica, accompagnare con mano ferma e gentile la realizzazione delle opere con linee guida e circolari interpretative, aumentare pareri e valutazioni terze in corso d’opera, minacciare aggravi di pene per convincere attori pubblici e privati ad agire correttamente.

Non che le occasioni, da allora, non sarebbero mancate, ma l’ambaradan dell’anticorruzione avrebbe tolto i ladri, prima che si rivelassero tali. A completare l’opera, sarebbe bastato mettere volti nuovi nella politica, nella Pubblica amministrazione, nelle società pubbliche, e separare così il tenero grano dall’infestante loglio. Un agente risolutore di ogni male italico, l’Anac, avrebbe rappresentato agli occhi dei cittadini questa nuova era di “correttezza by design”. Poco più di due mesi fa, ad esempio, l’agente tuttofare dichiarava di non rilevare criticità in merito alla costruzione del nuovo stadio della Roma.

Poco importa, allora, se si sono avviate indagini su quello stadio. La magistratura farà il suo corso, ma noi possiamo intanto stare tranquilli che la burocrazia dell’anticorruzione ha già vagliato e certificato tutto. Forse – così si dice – anche il comportamento di corrotti e corruttori (se ce ne sono stati) per accertarsi che gli stessi abbiano agito nel pieno rispetto delle norme consuetudinarie, dei regolamenti non scritti e delle circolari orali loro applicabili. In ambienti solitamente bene informati non si esclude anzi che possa vedere presto la luce un Codice delle attività corruttive che ponga finalmente termine ai comportamenti spesso disordinati e scomposti di chi a queste attività si dedica.

(*) Editoriale a cura dell’Istituto Bruno Leoni

Aggiornato il 22 giugno 2018 alle ore 11:09