Inpgi: profondo rosso

Cosa sta succedendo all’Istituto di previdenza dei giornalisti italiani? Il disavanzo 2017 è di 134 milioni di euro, frutto di un “costante peggioramento” dei conti e di una riforma voluta tenacemente dalla maggioranza del Cda che però non riesce a dare i risultati sperati.

Primo bilancio in perdita, pertanto, nella storia dell’istituto a causa dello sbilanciamento tra entrate contributive e prestazioni previdenziali. Il Collegio sindacale dell’Inpgi ritiene allora che sia indispensabile rimettere mano al bilancio tecnico e monitorare gli effetti della riforma previdenziale. Non è soltanto questione di affidarsi agli “esperti attuariali”, ma di scelte politiche. Il numero degli attivi registra una diminuzione di ulteriori 889 unità, che porta il numero totale dei giornalisti contrattualizzati a 15.011, con una flessione del 5,45 per cento rispetto al 2016. Negli ultimi 5 anni i giornalisti attivi sono diminuiti di circa 3mila unità, mentre solo nel 2017 sono stati erogati 7mila trattamenti a titolo di ammortizzatori sociali.

Numeri, quindi, di una vera e propria emergenza che non mostra alcuna inversione di tendenza. Durante la lunga stagione gestita da Andrea Camporese e poi da Marina Macelloni, l’Inpgi ha subito danni irreparabili dalle riorganizzazioni aziendali i cui costi tra prepensionamenti, pensionamenti e cassa integrazione si sono abbattuti sull’istituto. In conseguenza della perdita netta di bilancio si è ridotto anche il patrimonio netto contabile di circa 317 milioni, fermandosi a 1.735,4 milioni con uno scostamento sulle previsioni del 16 per cento.

Preoccupano la tenuta dei conti e la “sostenibilità” della gestione per i prossimi anni, tanto che le proiezioni fatte dal perito Marco Micocci dovranno essere riviste. È scattato l’allarme per la riserva tecnica che per legge deve coprire 5 annualità di pensione. Si è verificato per il 2017 che l’Inpgi è stato costretto a vendere quote del patrimonio finanziario e immobiliare per pagare le pensioni e le spese di gestione.

Gli incassi del Fondo Amendola sulle vendite, però, vanno a rilento tanto che sono entrati nelle casse dell’istituto solo 85,5 milioni di euro rispetto ai 135,5 previsti. “Un risultato decisamente deludente, ha osservato la consigliera Alessandra Spitz, se confrontato con le stime della Srg che prevedeva vendite per 279 milioni entro la fine del 2017”.

Di difficile riscossione anche i 279,3 milioni di crediti verso le aziende editoriali, molte delle quali in crisi economica o fallite. Sono stati ridotti i costi per gli organi dell’ente che ha 203 dipendenti. Tra i costi di struttura figura ancora la voce, che continua a destare molte polemiche, per i servizi resi dalle associazioni regionali di stampa e dalla Fnsi. Sono 2.442 milioni di euro che secondo alcuni si traducono in un pedaggio al sindacato per garantire la maggioranza al gruppo egemone da una trentina di anni. È una spesa che spesso non appare giustificata.

Secondo la presidente Macelloni la crisi industriale è un problema che riguarda tutti gli attori del sistema e quindi non è più rinviabile una legge di sistema per l’editoria che non si limiti a finanziare il processo di ristrutturazione delle aziende consentendo l’espulsione di migliaia di giornalisti ma stimoli l’emergenza e la contrattazione di tutte le nuove forme che l’informazione e la comunicazione stanno assumendo. Il bilancio è stato approvato con 13 voti favorevoli e due contrari (Carlo Chianura e Paola Cascella) per segnalare l’urgenza di un radicale cambio di passo da parte di chi ha la responsabilità di risanare l’istituto.

Aggiornato il 23 aprile 2018 alle ore 19:39