La mafia vuole uccidere Borrometi

Fallo ammazzare, ma che c.... ci interessa. A dare l'ordine di uccidere è il boss di Cosa Nostra della provincia di Siracusa, Salvatore Giuliano, a un altro boss di spicco, Giuseppe Vizzini. Sono stati per fortuna arrestati prima che potessero agire contro Paolo Borrometi, direttore de laspia.it e collaboratore dell’Agi. Cui questa telefonata intercettata ha salvato sicuramente la vita. Anche altre due persone sono finite in carcere in un’operazione ordinata dal Gip di Catania, Giuliana Sammartino. Non sono le prime minacce a Paolo, che ha subìto anche un’aggressione con danni fisici, strani furti in casa e intimidazioni anche alla sua famiglia. Nell’ordinanza che ha dato il via al blitz le parole riportate sono drammaticamente chiarissime.

Vizzini – si legge – “commentava con i figli le parole di Giuliano il quale, forte dei suoi legami con i Cappello di Catania, per eliminare lo scomodo giornalista stava per organizzare un'eclatante azione omicidiaria.

Ecco che dicevano i due capi bastone: “Succederà l'inferno. Mattanza per tutti e se ne vanno. Scendono una decina, una cinquina, cinque, sei catanesi, macchine rubate, una casa in campagna, uno qua, uno qua… la sera appena si fanno trovare, escono... dobbiamo colpire a quello. Bum, a terra! Devi colpire a questo, bum, a terra!... Come c'era negli anniNovanta, in cui non si poteva camminare neanche a piedi… Ogni tanto un murticeddu vedi che serve, c’è bisogno, così si darebbero una calmata tutti gli sbarbatelli, tutti i mafiosi, malati di mafia!...”.

Almeno per Paolo Borrometi stavolta le intercettazioni telefoniche sono veramente servite a qualcosa. E così adesso sarà anche costretto ad avere una scorta rafforzata oltre a quella di cui già da tempo doveva subire la presenza fin dentro casa. Questo giovane giornalista, insieme a un’altra ventina – tra cui Federica Angeli de “la Repubblica” – è veramente il simbolo dell’Italia odierna dove il lavoro dei cronisti non è più amato da nessuno. Non da chi li vorrebbe uccidere – ovviamente – come i mafiosi. Ma nemmeno da molti dei loro stessi editori che li sfruttano. Compresi quelli minacciati dalla criminalità organizzata. E nemmeno da certi partiti politici o da associazioni loro strettamente collegate, come dimostra da ultimo il caso della cacciata del giornalista Jacopo Iacoboni de “La Stampa” dalla kermesse “Sum#02” da parte dello staff della Casaleggio Associati lo scorso sabato a Ivrea.

Proprio Davide Casaleggio in una dichiarazione alle agenzie diceva di non essersi pentito dell’episodio – al contrario di Gianluigi Nuzzi che si è salvato in corner dicendo che non aveva capito che la sceneggiata del “tarocco” riguardava Iacoboni, contemporaneamente scaricando ogni propria responsabilità e puntando anzi il dito contro lo stesso erede della casa – e ciò perché Iacoboni avrebbe mancato di rispetto al padre pubblicando una serie di cose proprio alla vigilia del suo decesso. Una notazione dal significato sinistro che fa pensare alle vendette proprie di milieu non raccomandabili. Con la parola “sciacallo” – usata in realtà a suo tempo da Casaleggio senior per descrivere Iacoboni e riportata dal figlio in un post su Facebook di cui parla anche “Il Dubbio” – che fa rabbrividire. Per Borrometi la Federazione nazionale della stampa italiana ha organizzato un incontro di solidarietà nella sede di Corso Vittorio Emanuele II 349 a Roma e sarà bene non mancare. Perché il nostro mestiere è sempre più a rischio.

Aggiornato il 11 aprile 2018 alle ore 12:52