I magistrati hanno paura dei fantasmi da loro creati

sabato 10 febbraio 2018


Nell’articolo pubblicato ieri abbiamo messo a fronte due esemplari ordinanze di Tribunali di Sorveglianza, relative a due casi da manuale di interventi (negato crudelmente l’uno, elargito con grotteschi risvolti di inspiegabile generosità l’altro).

In realtà quei due provvedimenti di opposta direzione, tali da evidenziare ancor più la loro intrinseca insensatezza, con venature di ridicola manipolazione delle stesse funzioni del giudizio di Sorveglianza e nell’esecuzione della pena, hanno qualcosa in comune. Qualcosa dell’atteggiamento dei giudici, del sistema giudiziario, dell’anima persa di questa giustizia in regressione di secoli. Qualcosa di assai allarmante. Perché è sommamente allarmante il fatto che la paura il “chi me lo fa fare” si insinui nell’animo dei giudici e magari in quello del sistema giudiziario.

I giudici, il sistema giudiziario, l’aria che si respira nei palazzi di giustizia, sono inquinati dalla paura. Dopo tanto strombazzare il coraggio dei magistrati, di quelli che coraggiosi sono e sono stati e, magari, coraggiosamente sono morti, ma, soprattutto di quelli che, magari il coraggio se lo sono cucito addosso e lo hanno saputo gabellare per tale, dopo il coraggio di fronte alla violenza impazzita di terroristi e di mafiosi, ora si affaccia la paura, la mancanza di coraggio, quello vero che chi lo ha non se ne fa un vanto perché è “naturale”, che s’identifica con l’obbedienza alla ragione ed al dovere.

Viene meno quel coraggio per il quale non vi sono le litanie e gli osanna dei pennivendoli, non c’è la gloria mediatica, non ci sono le buffonate delle cittadinanze onorarie, le prospettive di candidature alle somme cariche dello Stato. Il coraggio di saper rinunziare a tutto ciò.

I magistrati, non tutti, naturalmente, ma quanti ne bastano ad inquinare la giustizia di un ulteriore male, hanno paura dei fantasmi che hanno essi stessi (o quelli della generazione precedente) creato ed accreditato. Non hanno il coraggio di non apparire “coraggiosi”, “lottatori”, “impavidi”. Hanno paura dei pentiti cui essi stessi o i loro predecessori hanno dato in appalto la verità, hanno paura di poter essere accusati di aver paura della mafia anche dove non c’è, di non coltivare con sufficiente rigore (e crudeltà) la demonologia, le demonizzazioni di moda, magari inventate o “ufficializzate” con le loro (e dei loro predecessori) sentenze grondanti del succo di grottesche dietrologie.

La cosa più grave ed allarmante è che, magari, non si rendono conto di questa paura, che scambiano beatamente la loro mancanza di coraggio con il “coraggio”, quello che produce cittadinanze onorarie, promozioni, osanna di leccapiedi. Hanno paura, non hanno il coraggio di fare un gesto di doverosa giustizia, di umanità, perché un “concorrente esterno” chi sa come “incastrato” (perché “doveva” essere incastrato!) possa essere curato decentemente dal male terribile che lo divora. Hanno paura, non hanno coraggio, di mandare in carcere un pluripregiudicato, assatanato da una incontenibile logorrea denigratoria e calunniatrice, uno che, però, è stato il suggeritore ed, al contempo, il beneficiario ed il tirapiedi della “giustizia di lotta”, delle peggiori baggianate giudiziarie che hanno lasciato il segno nella Città di Agrigento. Hanno paura di far giustizia giusta (e non se ne rendono conto) nei confronti dei Dell’Utri e degli Arnone.

È un fenomeno non nuovo. Nella mia vita l’ho visto dilagare con conseguenze catastrofiche nel nostro Paese. Adolescente ne avvertivo l’oscenità ridicola e la potenzialità venefica. Non sbagliavo. Vorrei saper pregare Iddio di sbagliare ora.


di Mauro Mellini