La Impieri ci racconta le lotte dell’Animec per le donne

Deborah Impieri, consigliere vicario nella Commissione sanità dell’Ordine degli Avvocati di Roma, ha approfondito più di tantissimi esperti di diritto il tema del “femminicidio” e della “violenza sulla donna”. L’avvocato Impieri presiede l’Animec, associazione ma anche struttura che si occupa di formazione per gli ordini forensi proprio in materia di sanità, violenza di genere ed emergenze sociali. L’abbiamo intervistata alla vigilia della manifestazione teatrale romana che l’Animec ha organizzato per domenica 3 dicembre a Piazza del Popolo, evento a cui parteciperà anche il consigliere regionale di Forza Italia Adriano Palozzi.

Perché sensibilizzare attraverso uno spettacolo?

Perché è un modo diretto di parlare alla gente. Noi abbiniamo la convegnistica e la formazione a spazi di rappresentazione teatrale. Un po’ come la tragedia che permetteva nella polis greca di raccogliere i cittadini attorno ad un problema, di farne spazio di riflessione e narrazione storica. E quella della violenza è una tragedia nel vero senso del termine.

Che intende dire?

Che nessuno può esimersi dal farsi carico di questa responsabilità. La responsabilità è dell’uomo che picchia o uccide la donna che reputava di amare, è di chi non salva quella donna da un destino nefando, d’un sistema che non permette la fuga della donna, d’una società ormai sorda ai problemi dell’uomo di strada. È una catena senza fine, che s’aggroviglia e strangola l’umanità in una sorta d’abbraccio infernale.

Ci saranno forse delle soluzioni o la vicenda è ormai fisiologica a questa umanità?

Sono convita che il fenomeno sia aumentato nell’ultimo decennio, tornando al triste primato europeo che l’Italia aveva fino agli anni Cinquanta, quando era in vigore il vecchio codice, e con esso il “delitto d’onore”. Nell’81 il “delitto d’onore” scompariva e miracolosamente l’Italia conosceva più d’un ventennio di quasi parità tra i sessi. Le donne s’inseriscono nel mondo del lavoro in maniera copiosa rispetto agli anni Cinquanta e Sessanta. Le loro carriere competono con quelle dell’uomo. Il passato sembrerebbe lontano. Poi di punto in bianco la crisi. Donne e uomini che perdono il lavoro e si ritrovano a rispolverare in ambito domestico rancori, forse mai sopiti, che appartenevano ai loro avi.

E la gelosia, il possesso?

Sono aumentati questi stati d’animo, me lo raccontano i processi e le storie che esaminiamo nell’Animec. Perché l’uomo in crisi, disoccupato e poco incline a ricorrere all’assistenza sociale, reputa che la violenza possa scongiurare la fuga della donna dall’ambito domestico. I servizi sociali possono tanto, e perché solo monitorando le situazioni di disagio è possibile per tempo salvare donne e minori da violenze e morte.

Ma la violenza si consuma anche nella cosiddetta alta e media borghesia. Credo questo lo sappia bene?

In quelle nicchie di vita, apparentemente agiata e tranquilla, la violenza c’è sempre stata e in maniera strisciate e costante. Più difficile da individuare, perché la donna è spesso schiava di convenzioni sociali e del tenore di vita. Anche nel mondo artistico intellettuale la violenza c’è sempre stata, vuoi per forme estreme di gelosia o per oscure ritualità che non stiamo qui a raccontare, valga da esempio l’omicidio di Sharon Tate, giovane moglie di Roman Polanski, ad opera del demonista Charles Manson: in un primo momento si pensò all’estraneità del Polanski, poi emerse che il regista non era nuovo a violenze su donne e ritualità luciferine di vario genere.

Allora la politica e la società cosa debbono fare?

Dare alle donne la libertà di lavorare, d’emanciparsi dal bisogno economico, di vivere senza sudditanze familiari, fintamente sentimentali, lavorative, sociali. Liberare la donna è quel lungo cammino che abbiamo iniziato più d’un secolo fa, grazie ad Elizabeth Cochran Seaman: nel caso il suo nome non vi suoni familiare, era meglio conosciuta come la giornalista Nellie Bly. Crebbe in Pennsylvania e già da adolescente desiderava lavorare e farsi una carriera, le sue denunce permisero che migliaia di donne venissero liberate dai manicomi, dove venivano detenute per aver tentato di fare politica e di disobbedire a mariti despoti. Oggi non meno importante è difendere le donne anziane dalla cattiva sanità e dalle truffe bancarie. Temo una nuova era di prepotenze, ecco perché l’Animec è in Piazza del Popolo.

Aggiornato il 01 dicembre 2017 alle ore 08:37