Imputato Fausto Brizzi: colpevole!

In queste ore divampa lo scandalo delle molestie sessuali ai danni di aspiranti attrici per il quale è accusato il regista Fausto Brizzi.

È una brutta storia da raccontare. Le responsabilità che vengono attribuite al pupillo della cinematografia più amata dalla sinistra sono pesantissime. E infamanti. Un gruppo di giovani attrici, forse stimolate dalla crociata intrapresa dalla più nota Asia Argento contro il suo potente molestatore americano, il produttore cinematografico Harvey Weinstein, ha ritenuto di confidare ai giornalisti, senza lesinare sui particolari osceni, gli approcci sconvenienti, ai limiti forse valicati del codice penale, tentati dal regista Brizzi. Costui, abusando della sua posizione di potere, avrebbe molestato sessualmente le malcapitate con il pretesto di offrire loro opportunità di lavoro. “Vieni che ti faccio un provino nel mio studio privato”, questo sarebbe stato l’amo al quale delle giovani sprovvedute sarebbero abboccate. Tralasciamo i particolari francamente disgustosi dei loro resoconti. Ma il quadro che emerge dalle inchieste giornalistiche sarebbe drammatico se venisse confermato. Appunto, se venisse confermato. Perché l’anomalia della vicenda sta nello squilibrio insopportabile tra accusa e difesa a cui la giustizia-spettacolo ci ha maldestramente abituati. Di fatto, i media hanno già chiuso la pratica. Ascoltate le testimoni-vittime a reti pressoché unificate, l’imputato Brizzi è stato processato dal circo mediatico in contumacia. Ed è stato trovato colpevole.

La sentenza, inappellabile, è stata resa esecutiva già nel corso del “processo”: la gogna e il pubblico ludibrio. Per lui e per la sua famiglia, ridotta ai vincoli degli arresti domiciliari dal costante pattugliamento della loro casa da parte delle troupe televisive e dei giornali. Già, perché insieme al carnefice sul banco degli imputati è salita anche la moglie, l’attrice Claudia Zanella. Nel sottofondo della morale perbenista, nascosto sotto la spessa coltre di un’ipocrita solidarietà di genere, s’intravede l’odiosa tautologia del: “Non poteva non sapere”. Sembra di tornare indietro nel tempo, a Tangentopoli, alle teorie paralombrosiane sulle responsabilità oggettive, di contesto. Anche allora si diceva di chi si voleva incastrare a tutti i costi: “Non poteva non sapere”. Non sappiamo se il regista Fausto Brizzi sia responsabile degli atti ignobili che gli vengono attribuiti. E neppure sappiamo se quei fatti costituiscano materia penalmente rilevante. Forse sarebbe il caso che la Procura della Repubblica competente, acquisita notizia di ipotesi di reato, intervenga per vederci chiaro sull’intera vicenda.

Tuttavia, resta il fatto che l’operazione “sputtanamento” del presunto reo ha fatto il suo corso, per la gioia di tutti coloro che dal clamore suscitato riescono a trarne una qualche utilità: giornali di gossip che vendono più copie, noiosi talk-show che fanno il picco di ascolti, bolsi opinionisti che salgono in cattedra a strologare di etica e dintorni, personaggi di seconda, terza e quarta fila dello star system nostrano che trovano un insperato spazio per una comparsata. E l’orco? Lui è già cotto e mangiato. È colpevole delle condotte infami contestategli oltre ogni ragionevole dubbio. Perché le testimonianze riportano indizi gravi e concordanti che si fanno prove inoppugnabili per il solo fatto che vengono rese pubbliche. Non importa che le accusatrici parlino a distanza di anni dagli eventi denunciati, probabilmente cogliendo l’onda montante dello sdegno collettivo per le notizie che giungono dagli Stati Uniti sul mondo corrotto della cinematografia. Non importa che non vi siano altri testimoni diretti che possano confermare le circostanze nelle quali si sarebbero compiuti gli abusi. Non importa che esse accusino senza mostrarsi preferendo pararsi dietro lo schermo dell’anonimato.

Non sappiamo granché della storia personale di Brizzi e neanche ci piacciono certe sue performances cinematografiche. Nondimeno, una domanda ce la siamo posta: e se fosse innocente? Se non avesse commesso le turpitudini che gli vengono attribuite, chi gli restituirebbe l’onore che gli è stato così brutalmente strappato via? La sua vita è distrutta, e anche quella della sua famiglia, senza che gli si sia stato garantito un giusto processo nei luoghi dove si celebrano i processi che sono i tribunali e non gli studi televisivi o le redazioni dei giornali. Tutto questo è più che profondamente ingiusto: è barbarico. E anche le presunte vittime non è che abbiano reso un servizio alla causa del coraggio delle donne nel combattere gli abusi, le molestie e le violenze “degli uomini che odiano le donne”. Le accusatrici dovevano sì denunciare il molestatore, ma a tempo debito, e agli organi giudiziari competenti. Così sorge il sospetto, che per quanto ci riguarda non è la gesuitica anticamera della verità, che si abbia voglia di rimestare nel fango e non di appagare una legittima sete di giustizia. Si tratta di un sospetto, nient’altro che un sospetto.

Aggiornato il 17 novembre 2017 alle ore 21:16