Salute, l’intervista al professor Materazzi

venerdì 19 maggio 2017


“Per il medico nessun essere umano è strano o repellente. Un misantropo può diventare un eccellente diagnosta di malattie organiche, ma non può sperare di avere successo come medico. Il vero medico deve possedere una ampiezza shakespeariana di interesse per il saggio e lo stolto, per il potente e l’umile, per lo stoico eroe e il furfante piagnucoloso. Egli si prende cura dell’umanità” (T.R. Harrison).

“L’aforisma che, presente sul mio testo di medicina interna durante gli studi, mi ha ispirato per la mia professione futura e riassume un po’ il senso di quello che facciamo noi medici”.

Il professor Gabriele Materazzi, quarantanove anni, già da due a capo del centro di Endocrino Chirurgia dell’ospedale Cisanello di Pisa, ha una “mission” con la sua equipe: trattare i tremiladuecento pazienti che necessitano di interventi chirurgici alla tiroide. Con più unità operative separate, collaborando in perfetta sinergia tra loro, riescono a far funzionare in maniera eccellente tutto il reparto, raggiungendo l’obiettivo che l’ospedale ha chiesto, (con tanto di contratto di servizio firmato da parte di tutti i professionisti coinvolti). Gli anestesisti garantiscono il “sonno” di tutti i pazienti che dovranno essere operati entro la mattinata. Non esiste un ritardo o un anticipo, tutti sono puntuali nel proprio lavoro, realizzando una perfetta coesistenza. Spesso la pre-ospedalizzazione viene fatta il giorno prima o a poche ore dall’intervento, con un eccellente tempismo.

Oltre alla chirurgia endocrina (tiroidectomia tradizionale, tiroidectomia robotica, Mivat, surrene laparoscopico e surrene robotico, paratiroidectomia tradizionale e Mivap, paratiroidectomia in day surgery con anestesia locale e dimissione il giorno stesso) l’equipe realizza anche circa 500 interventi di chirurgia generale comprendenti colon, stomaco, ernia, colecisti ecc.. Ho visto smaltire oltre cinquanta persone in attesa; in meno di due ore tutti vengono sottoposti ad analisi cliniche, elettrocardiogramma, visita cardiologica e lastre al torace, con risposte on-line da parte dei vari laboratori e centri diagnostici già inserite nella cartella clinica. Il tutto, ripeto, fa parte del contratto sottoscritto e se raggiungono l’obiettivo non hanno “premi” o “bonus” ma solo una gratificazione: non vengono intaccate le risorse per raggiungere quanto prefissato.

Ho chiesto al professore cosa farebbe se un’altra azienda ospedaliera, come già accaduto con i suoi illustri predecessori, gli offrisse un compenso maggiore, e lui con la calma che lo contraddistingue, mi ha detto: “non accetterei, lavoro per un sistema che funziona, per un ottimo ospedale, e io sono felice di poterne far parte”. Racconta che tutta l’equipe medica e paramedica è orgogliosa e legata al reparto di Endocrinologia, (il reparto è stato creato e diretto dal professor Pinchera); lo definisce “una macchina da guerra” dove vengono trattati moltissimi pazienti, dove si fanno cento aghi aspirati al giorno, ormoni tiroidei in venti minuti, scintigrafie e ecografie, insomma in poche ore il paziente ha già fatto tutto e può anche tornare a casa soddisfatto di aver impiegato il giusto tempo per avere una diagnosi. Da tutta Italia, isole comprese, si rivolgono al professor Materazzi e forse, è uno dei pochi a garantire l’esecuzione personale dell’operazione. È un uomo ed un professionista eccezionale, riesce a mettere tutti a proprio agio, passa in corsia per rassicurare il paziente, capire se ha problematiche post intervento, tranquillizzando lo stesso per non farlo preoccupare, e se si dovesse aver bisogno non esita a farsi chiamare, perché il professore inizia la mattina alle sette in ospedale e ne esce la sera alle diciannove. Non da meno gli infermieri in corsia, le spie dei campanellini per chiamarli non si accendono spesso, sanno calcolare le tempistiche per sostituire flebo, alzare i pazienti, togliere i drenaggi o semplicemente entrare nella stanza per sapere come va il decorso post-operatorio.

Di sovente anche nel cambio turno vengono a salutarti e augurandoti buona guarigione. Se si ha bisogno non si deve esitare a chiamarli, anche in piena notte. Sono professionali e fanno il loro lavoro con amore e dedizione. Posso solo dire che l’umanità, la gentilezza e l’empatia che riescono ad avere con ogni singola persona è fuori dal comune. Un giorno di degenza e la mattina successiva si viene dimessi, naturalmente tutti i parametri devono essere nella norma, il paziente deve essere in buono stato ed in grado di alzarsi. Se non si risiede a Pisa chiedono di fermarsi una notte in più nella struttura prenotata prima dell’intervento, per precauzione e perché volendo si può passare l’indomani in corsia per la medicazione, così come per qualsiasi altro dubbio, per poi tornare nella propria città anche se distante.

La domanda sorge spontanea allora: perché in altri ospedali tra le analisi sostenute prima e dopo l’intervento ed il ricovero, si arriva a tenere la persona fino a cinque giorni? Il professore mi spiega semplicemente che dimette il paziente il giorno dopo perché non occorre nessuna terapia farmacologica o di riabilitazione dato che, per fortuna, l’intervento non è invalidante; quindi “se sta bene possono mandarlo a casa”, facendo risparmiare la regione, che rimborsa centocinquanta euro, mentre se la degenza dovesse prolungarsi arriveremo a millecinquecento euro. Mi spiega che il suo sogno sarebbe quello di lavorare in un ospedale con infrastrutture ancora più adeguate di quelle in dotazione alla Azienda Ospedaliera Pisana, soprattutto con maggiori spazi dedicati ai non ricoverati, come avviene al Niguarda di Milano, dove aree munite di negozi e posti di ristoro consentono ai parenti di trascorrere in maggiore relax le lunghe ore di attesa prima del ritorno dei loro cari dalla sala operatoria o fuori dall’orario di visita in corsia.

Generalmente non introduco mai note molto personali nei miei articoli, ma qui è d’obbligo, purtroppo anche io ho avuto problemi alla tiroide, mi sono rivolta ad un grande ospedale di Roma, pagando fior di euro per una visita prima da un endocrinologo, che a sua volta mi ha mandato da un noto professore, che con la sua giacca e cravatta e tanto di Rolex, rassicurandomi della breve attesa mi chiedeva diecimila euro per eseguire il tutto in intramoenia. Purtroppo non li avevo e quindi mi ha inserito, tramite il suo segretario, nella lista di attesa concludendo che al massimo tre mesi sarei stata operata. Cari lettori è dal ventitré settembre 2016 che aspetto. Stanca delle prese in giro mi sono rivolta all’ospedale di Cisanello, che avendo capito l’urgenza della mia situazione ha fissato nell’immediato un appuntamento con il chirurgo Gabriele Materazzi .

Quando l’ho incontrato la prima volta, con un sorriso rassicurante e una voce pacata, mi ha spiegato bene la tipologia del mio intervento e subito mi ha rincuorata. Non giacca e cravatta, ma una divisa ospedaliera, proprio di chi aveva lavorato parecchio prima di vedermi. Questo perché apparire non vuol dire essere. Ottima impressione e tutta la mia fiducia. Dopo la visita ha aperto la sua agenda ed a mano mi ha segnata per il giorno sei aprile, io non volevo crederci, pensavo ad una nuova presa in giro. Non era così. I primi di aprile mi arriva la telefonata per sapere se confermavo il tutto, arrivata alla famosa pre-ospedalizzazione già la mia scheda con una prima valutazione era a disposizione dei medici e infermieri.

Ricordo che ha operato anche un’alta carica dello Stato, rimanendo sempre se stesso, un uomo “umile” leggasi come persona che non si vanta di ciò che è ma si mette a disposizione del prossimo con naturalezza, un grazie a nome di tutti i pazienti anche alla sua favolosa equipe. La sanità in Italia è fatta anche di persone eccellenti, persone che non si vendono al miglior offerente, ed il professore è uno di questi. Pisa è l’eccellenza mondiale come molti giornali l’hanno definita, ma è solo grazie a medici così che è stata resa tale.


di Anna Maria Fasulo