Una visione laica della politica

giovedì 4 gennaio 2024


Essendo stato indirettamente chiamato in causa sulla questione infinita legata alla mancata ratifica del Mes, che secondo molti osservatori avverrà dopo lo svolgimento delle elezioni europee, vorrei definire alcuni punti su cui mi trovo ad una distanza siderale rispetto a chi, la maggioranza degli opinionisti politicamente orientati di questo disgraziato Paese, manifesta una visione della politica di natura quasi religiosa. Visione religiosa che si estrinseca nel ritenere la propria parte l’unica a perseguire gli interessi legittimi della nazione, in contrasto con gli avversari di turno, quasi sempre indicati come fiancheggiatori di interessi sovranazionali, con lo scopo di averne un sostegno – non si sa bene in quale modalità – per ribaltare la volontà popolare espressa nel segreto dell’urna.

Ebbene, io non ho mai pensato che nelle democrazie di tutte le latitudini esistesse qualcuno che come scopo primario della sua azione avesse quello di perseguire il cosiddetto bene comune, la cui definizione, lo ammetto, rischia sempre di farmi venire l’orticaria. Al contrario, da liberale incallito, ho sempre creduto che i santi stessero, beati e serafici, in Paradiso e che, di converso, l’homo politicus per eccellenza – quello che per intenderci si barcamena tra una elezione e l’altra – al pari di tutti gli altri esseri umani, perseguisse al primo posto il suo legittimo interesse personale. Interesse personale che, in questo caso, si fonda su una continua ricerca del consenso e che, a volte, può incidentalmente determinare qualcosa di positivo per l’intera collettività o per una parte di essa.

L’idea che si possano dividere gli schieramenti politici tra chi porta avanti il bene comune e chi di tale bene comune se ne infischia, arrivando ad allearsi segretamente con lo “straniero” non porta, a mio avviso, da nessuna parte. In questo modo, occorre sottolineare, si annichilisce il dibattito, restringendo il campo su ogni questione di interesse generale sul tappeto tra due uniche posizioni: vero e falso, giusto e sbagliato, portatori della verità e impostori. Esattamente ciò che, venendo a bomba, sta accadendo sul tema spinoso del Mes.

Qui non si tratta né di essere masochisti né entusiasti a priori. Occorre solo sforzarsi di uscire dalla logica dei buoni e dei cattivi, prendendo in considerazione solo gli aspetti essenziali della questione in ballo, che in estrema sintesi, al di là delle complesse tecnicalità dello strumento, si basa sul concetto di offrire alle banche dei 20 Paesi che vi hanno aderito una sorta di assicurazione contro le sempre possibili turbolenze dei mercati finanziari. Tant’è che 19 degli stessi Paesi hanno ratificato il nuovo Mes, mentre l’Italia lo ha per ora bocciato. Ciò starebbe a significare che gli altri sono masochisti e noi gli unici lungimiranti, aiutati in questo da una maggioranza unicamente dedita al bene comune?

La logica e il buon senso ci dicono che è difficile che le cose stiano in questi termini. Così come la logica e il buon senso, oltre ad una certa esperienza vissuta drammaticamente nel recente passato, ci dice che la sostenibilità del nostro colossale debito pubblico non dipende affatto né dalle agenzie di rating e né, tanto meno, dalle dichiarazioni di un oscuro burocrate messo a capo del Mes. La sostenibilità del debito pubblico dipende in tutto e per tutto dalla capacità del sistema Paese di estrarre dalla propria economia a tempo indeterminato la quantità di risorse necessarie per ripagare i relativi interessi. In questo senso, l’unico modo per perseguire il cosiddetto interesse nazionale è quello di tenere i conti pubblici in ordine, senza massacrare di tasse la collettività, cosa che peraltro, con grandi fatiche e incertezze, sta cercando di fare l’attuale maggioranza di centrodestra.

E, da questo punto di vista (guardare i numeri aggregati di tutti i Governi della Seconda Repubblica per crederlo), la differenza tra i “Santi” e i “Demoni” – a parte le follie dei grillini e di gran parte del Parlamento avvenute durante la pandemia – proprio non si nota. Quello che invece, ahinoi, si vede con chiarezza, è la drammatica mancanza di una adeguata presenza nel mondo dell’informazione – in questo senso come diceva il nostro Grande e compianto Arturo Diaconale, L’Opinione rappresenta una piccola riserva indiana liberale – di una forte rappresentanza laica e autenticamente liberale.


di Claudio Romiti