L’onestà intellettuale ci impone di dire chiaramente ai nostri lettori che il giornalismo imparziale non può esistere. Le opinioni espresse da ogni singolo operatore dell’informazione sconta giustamente il proprio sentire su un determinato tema.

È una ipocrisia il principio che un buon giornalismo dovrebbe separare i fatti dalle opinioni. In politica poi un buon giornalista dovrebbe quantomeno cercare di essere il meno parziale possibile. La realtà è che ognuno di noi guarda il fatto politico dalla prospettiva che ritiene più rispondente alla propria idealità. Sarebbe quindi buona norma leggere tesi e antitesi attingendo a giornali e media di area diversa. È il lettore che deve dotarsi degli strumenti per poter valutare il grado di oggettività di quanto si legge o si ascolta. Per queste ragioni il pluralismo dell’informazione è l’elemento che sta alla base di qualsiasi regime democratico.

I media: giornali, radio e televisione sono influenzati dalla linea editoriale del direttore che risponde al suo editore. Gli editori privati scelgono i responsabili delle testate sulla base di una linea editoriale concordata con chi investe i propri capitali nel campo dell’editoria spesso per interessi personali che ritengo assolutamente legittimi. Ci sono televisioni private che vivono di pubblicità e che per scelta editoriale sono apertamente schierate a sinistra. È il target di utenti che l’ufficio marketing ha scelto di catturare. È per questa ragione che l’informazione e i talk-show sono diretti da giornalisti politicamente orientati. Altri media privati hanno scelto un target di utenza più ampio e quindi necessariamente devono fare una informazione più oggettiva e a tal fine alternano conduttori di talk ed ospiti di diversa opinione politica.

Diversa è la questione Rai, che è pagata da tutti i possessori di una televisione e dovrebbe informare nella maniera più oggettiva possibile. Gli utenti sono tutti gli italiani costretti a mantenerla pagando il canone. La televisione pubblica gode di un vantaggio competitivo che deriva dal canone, che consente alla azienda pubblica di incassare oltre alla pubblicità più di 1,7 miliardi per ogni esercizio economico. È la tassa più odiata dagli italiani. Le tasse in teoria devono essere corrisposte dai cittadini che richiedono uno specifico servizio. Le imposte invece sono coattive e devono essere obbligatoriamente pagate da tutti i cittadini “in ragione della loro capacità contributiva”. Pertanto, chi non guardava la televisione pubblica legittimamente non avrebbe dovuto pagare il canone. Per costringere i contribuenti a pagarlo, il canone è diventato una “tassa di possesso”: paghi il canone Rai perché possiedi un televisore. Per decenni mamma Rai è stata un feudo di giornalisti orientati e sostenuti da certa politica.

Ad ogni cambio di governo è sempre stata prassi quella di cambiare i vertici e le direzioni delle testate. Tuttavia, alcuni conduttori erano diventati degli intoccabili. Antropologicamente nemici del centrodestra, si sentono defraudatati di un diritto assoluto quello di considerare la Rai di loro proprietà e quindi di ricevere compensi faraonici per condurre trasmissioni ostinatamente faziose. Costoro sanno che possono contare su un target di ascolto che permetterà loro di ricollocarsi altrove magari con incrementi dei compensi, Fabio Fazio docet.

State tranquilli che anche Lucia Annunziata, fresca dimissionaria della Rai (“non condivido nulla dell’attuale governo”), sarà ampiamente ricompensata dai servizi resi alla causa della sinistra: nella peggiore delle ipotesi con un seggio sicuro alle Europee o con un ricco contratto da editori interessati al suo target d’ascolto.

Aggiornato il 29 maggio 2023 alle ore 09:47