Recentemente in un’intervista su un quotidiano nazionale l’ex ministro e leader di Noi moderati Maurizio Lupi ha lanciato l’idea di una nuova aggregazione politica unitaria delle forze del centrodestra, un remake del Popolo della libertà: a suo tempo un’esperienza male acconciata, fallimentare, e durata pochi anni, distrutta da scissioni e dilaniata da incomprensioni. Detto francamente oggi di tutto si sente l’esigenza tranne che di una nuova formazione unitaria, un Pdl 3.0, che raccolga, come sostiene Lupi, le “tante tradizioni esistenti, socialista, popolare, riformista, liberale”, cioè un piatto unico in cui sciogliere le specificità culturali nell’indistinto. Ci si dimentica però che la fortuna di Giorgia Meloni inizia proprio dalla scissione dal Pdl di Silvio Berlusconi, con la costituzione di una micro formazione (Fratelli d’Italia), oggi maggioritaria, proprio per rivitalizzare la destra che si era vista demolire la propria casa (Alleanza nazionale) per andare a coabitare in quel grande residence con vista sul giardino di Villa San Martino ad Arcore, che fu il Pdl.

Una riedizione della precedente esperienza sarebbe un errore per alcuni ordini di motivi. Si darebbe vita a una difficile convivenza mettendo assieme tutto e il contrario di tutto solo per il tentativo di raggiungere quote elettorali più ampie di quelle che attualmente raggiunge da solo il partito della premier. Sarebbero costrette a un’unione contro natura istanze incompatibili tra loro, come per esempio il soggettivismo dei liberali e il collettivismo dei socialisti, il centralismo dei nazionalisti e il regionalismo degli autonomisti, che come fu per la precedente esperienza esploderebbero alla prima prova del fuoco. Poi non è detto che la somma faccia il totale, anzi spesso si verifica il contrario, è questo il caso della “Cosa democattoliberalsocialista” tentata da Matteo Renzi e Carlo Calenda che annaspa e ondeggia. E, infine, annullando tutto nell’indistinto si perderebbe il cosiddetto “centro”, non solo come formazione politica, ma come offerta per un elettorato che difficilmente si riconoscerebbe in un partito unico dove dentro c’è tutto e il suo contrario.

Potrebbe essere invece utile alla coalizione e all’Italia che si lavorasse a un autentico soggetto “altro ed alto” che abbia come orizzonte una spiccata linea liberale, liberista, libertaria e per certi versi anche cristiana. Che si posizioni con la propria specificità e autonomia, in dialogo positivo con i nazionalconservatori di Fratelli d’Italia, gli ex federalisti della Lega e i moderatamente liberali di Forza Italia, mantenendo la prima idealità, magari partendo proprio da Noi moderati, a cui però va cambiato nome e simbolo perché quelli attuali non significano nulla, fondando uno spazio aperto e plurale con un tasso elevato di democrazia interna, dove ci sia diritto di critica e proposta.

La piattaforma su cui costruire un soggetto del genere non sarebbe difficile da elaborare, basterebbe affrontare con realismo quello che per anni il centrodestra ha detto di voler fare e che fino a oggi non ha fatto: una giustizia più equa ed efficace; la riforma della scuola e delle università; l’abbassamento delle tasse; la tutela della proprietà privata e della casa; una minore presenza dello Stato nella vita sociale ed economica dell’Italia; la riduzione della burocrazia e del suo potere interdittivo; la de-legiferazione su materie come lavoro, previdenza e impresa; l’abolizione dei monopoli statali e contrasto a quelli privati; un ecologismo concreto e non utopistico; la riforma carceraria e delle pene; un serio impegno per affrontare l’immigrazione.

Questi sono solo alcuni dei temi su cui cimentarsi. Ovviamente solo indicativi e non esaustivi. Particolare attenzione andrebbe data ai bisogni primari dell’individuo e delle famiglie, come la libertà educativa e di cura. Potrebbe essere un soggetto politico attrattivo per i tanti che non vanno più a votare perché ritengono l’offerta attuale inadeguata alle sfide del presente o semplicemente non rappresentativa. Lavorare a un’aggregazione con una tale base programmatica significherebbe ampliare lo spettro di azione della coalizione ed essere in grado di profilare quella specificità che manca, offrendo una politica capace di portare idee e contributi innovativi, diversi ma compatibili con quelli conservatori. Pdl 3.0? Grazie, ma anche no!

Aggiornato il 09 marzo 2023 alle ore 14:50