Giustizia tributaria a rischio blackout

Addio a Montesquieu?

Benché ancora non rilevato dai radar dei media, si sta consumando il tracollo organizzativo della giustizia tributaria, a seguito della riforma varata in fretta e furia questa estate dal precedente Parlamento già sciolto, sul diktat del dimissionario Governo Draghi per elemosinare i fondi del Pnrr. Alla prova della realtà, infatti, i nodi stanno venendo al pettine, in particolar modo per i vuoti e per le assurdità del regime transitorio.

I nuovi ricorsi nel 2022 sono quasi raddoppiati rispetto all’anno precedente (circa 146mila rispetto ai poco più di 77mila), con un sostanziale ritorno ai livelli pre-pandemia; ciò era facilmente prevedibile per gli operatori del settore, ma evidentemente non per i funzionari del Mef, che hanno redatto il testo della riforma, sottostimando le conseguenze negative dei provvedimenti adottati, quali il taglio e l’accorpamento delle sedi delle Corti di I grado, l’abolizione delle Sezioni distaccate delle Corti di II grado, e del grave difetto nella stima del fabbisogno programmato di soli 576 magistrati tributari, anche in rapporto alla rapida riduzione dell’organico dei giudici attuali, penalizzati dalla fuoriuscita anticipata di 5 anni rispetto alla normativa previgente (da 75 a 70). E nonostante un breve décalage, la mannaia colpirà, com’è logico, soprattutto presidenti e vicepresidenti, quando già ora nell’organizzazione dei collegi si naviga a vista. E molti meditano le dimissioni.

L’emergenza sta quindi diventando realtà anche in una giurisdizione che risultava la più rapida prima di questo sciagurato intervento, che sta causando un vistoso rallentamento nei tempi di definizione delle controversie, effetto opposto a quello sbandierato dai fautori della riforma. Il nuovo Governo è stato così costretto a correre ai ripari, prorogando anzitutto di un anno il primo esodo dei giudici 75enni. Ma è solo un pannicello caldo. Nei prossimi giorni si dovrà prendere il toro per le corna, varando una profonda revisione degli aspetti organizzativi della legge 130/2022.

Maurizio Leo, viceministro con delega fiscale, ha detto che il nuovo testo verrà portato in Consiglio dei ministri tra febbraio e marzo. Con quali modifiche? Difficile interpretare i rumors, ma certo si interverrà in modo robusto sul periodo transitorio, tanto più che il mitico “transito dei 100 giudici tributari togati alla nuova magistratura tributaria si sta rivelando – e anche questo era prevedibile – un clamoroso flop: pochissime adesioni, con il concreto rischio del fallimento del primo reclutamento; il che si ripercuoterebbe, inevitabilmente, anche sulla formazione dei futuri magistrati vincitori di concorso (quando i concorsi saranno banditi), che sotto la guida dei transitati affidatari dovrebbero effettuare il tirocinio obbligatorio per assumere le funzioni. Una situazione grave ma non seria, per dirla alla Flaiano. Se non si interverrà subito, lo scenario sarà quello di una vera paralisi della giustizia fiscale, che verrà solo provvisoriamente occultata dalla sospensione per 9 mesi dei termini di impugnazione delle pronunce per agevolare le definizioni delle liti pendenti, secondo quanto appena disposto dal Governo. Eppure, con un po’ di buona volontà e a parità di spesa (anzi con forti risparmi) la situazione si potrebbe raddrizzare.

Vediamo dunque rapidamente le due criticità principali e le possibili soluzioni. Il primo punto è l’indipendenza del magistrato tributario. Non è possibile mantenere l’impianto di questa “controriforma”, che accresce la dipendenza dell’organo giurisdizionale dal Mef, vero dominus che sovrintende alle operazioni di reclutamento e vigilanza del “personale giudicante”, modo sprezzante col quale chiama ora i giudici. L’addio alla terzietà e il ridimensionamento sono in sostanza anche formalizzati: i nuovi magistrati tributari verranno nominati dal ministro dell’Economia e delle finanze (con decreto ministeriale), organo governativo, e non più dal Presidente della Repubblica (con decreto del Presidente della Repubblica). In barba alla tripartizione dei poteri di Montesquieu vedremo le sentenze emesse “in nome del Mef” anziché del popolo italiano?

La Corte di giustizia tributaria di I grado di Venezia ha già sollevato dinanzi alla Consulta la questione della legittimità costituzionale di tale svilimento, vista la chiara lesione del principio di terzietà del giudice, che garantisce il cittadino dagli abusi del potere esecutivo; e a prescindere dall’esito del giudizio – che potrebbe anche sfociare in un nulla di fatto, in conseguenza di una eventuale inammissibilità per questioni di rito – è difficile comunque ipotizzare la bocciatura anche di un successivo ricorso alla Corte di giustizia dell’Unione europea sul tema. È assurdo e incompatibile con il diritto comunitario che una parte sostanziale del processo tributario eserciti il controllo su chi deve decidere le sue controversie con il contribuente. Si è tornati indietro di mezzo secolo. Sarebbe dunque doveroso, più che opportuno, che i magistrati tributari – come già avviene per quelli amministrativi e contabili, di cui sono parenti stretti – per tutte le questioni logistiche passassero sotto la presidenza del Consiglio dei ministri.

Il secondo aspetto riguarda la necessaria valorizzazione degli attuali giudici tributari ai fini della formazione del primo contingente di magistrati tributari. Al riguardo, la diffidenza del testo della riforma appare palese, ma contraddittoria. Da un lato, infatti, si conferma la permanenza nelle funzioni degli attuali giudici iscritti nel ruolo unico alla data del primo gennaio 2022 (e ci mancherebbe: si voleva forse il totale vuoto di giustizia? Eppure, qualcuno lo aveva ipotizzato). Dall’altro, li si penalizza fortemente dal punto di vista economico, rispetto ai futuri magistrati tributari – con i quali peraltro siederanno nei collegi giudicanti, sullo stesso piano ma con maggior esperienza – che verranno retribuiti come i magistrati ordinari e che saranno privilegiati nella progressione in carriera e sotto diversi altri aspetti (per esempio, accesso alle cariche del Consiglio superiore della giustizia tributaria).

Non tutti sanno che gli attuali giudici tributari, come quelli onorari di altre giurisdizioni, sono dei muletti che tengono su tutta la baracca del contenzioso fiscale con l’esborso di pochi soldi da parte dello Stato. Ricevono infatti un compenso fisso lordo di 391 euro al mese (ma la riforma, bontà sua, ne prevede l’aumento del 130 per cento), oltre a un compenso variabile “monstre” di circa 30 euro lordi a sentenza; roba da far impallidire una Colf (e vergognare lo Stato).

La nuova legge, ai fini del reclutamento dei magistrati a tempo pieno, li distingue per provenienza indirettamente e ingiustificatamente in togati e non, prevedendo solo per questi ultimi la necessità di partecipazione al concorso per diventare magistrati tributari, con una riserva del 30 per cento dei posti nei primi tre concorsi (però solo se presenti da almeno 6 anni nel ruolo unico e non pensionati, specifica l’ineffabile comma 3 dell’articolo 1 della legge 130/2022). Questa pretesa è una pura umiliazione. Nessuno ha ancora chiarito la logica di questa disposizione, peraltro manifestamente discriminatoria. Va ricordato che gli attuali giudici tributari confluiti nel ruolo unico, reclutati tramite concorso per titoli (di studio e di esperienza), svolgono tra loro le stesse funzioni, a prescindere dalla provenienza.

Che succederà, poi, se il giudice tributario non togato che intenderà partecipare al concorso-gioco-dell’oca verrà bocciato agli esami? Niente: potrà tranquillamente continuare ad emettere sentenze tributarie come prima, al prezzo di pochi spiccioli. Dunque, è solo una questione economica. Ma che serietà può mostrare uno Stato che si pone in situazioni del genere? È semplicemente demenziale e offensivo pretendere di assoggettare a un concorso per neolaureati giudici d’estrazione professionale, magari con decenni di esperienza, che peraltro già svolgono la stessa funzione con piena legittimazione da parte dello Stato. E chi mai dovrebbe giudicarne la preparazione, poi? Con quali superiori capacità?

Non vado oltre nelle critiche all’ineffabile regime transitorio (im)previsto dalla legge 130/2022 per non annoiare il lettore. Ma è evidente che il lato organizzativo della riforma fallirà miseramente, se non si avrà il coraggio di ovviare a certe assurdità. Occorre quindi spazzar via questo pattume giuridico, frutto evidentemente di un regolamento di conti del Mef con chi ha mostrato troppa indipendenza a garanzia dei contribuenti, e permettere semplicemente a tutti i giudici tributari del ruolo unico che ne facciano richiesta, senza limitazioni di sorta, il transito al full-time (perché questa è la vera specificità del nuovo magistrato tributario, un giudice a tempo pieno anziché part-time), consentendo così il rapido superamento delle criticità evidenziate.

(*) Giudice tributario, avvocato e dottore commercialista

Aggiornato il 21 gennaio 2023 alle ore 10:18