Il piano di Piantedosi sulla redistribuzione dei migranti

La Ocean Viking, con a bordo trentasette migranti, è giunta al porto di Ancona martedì sera. La Geo Barents è entrata oggi – sempre nello scalo marchigiano – poco dopo le 7,30 e ha attraccato alla banchina 22. A bordo di ci sono 73 naufraghi, raccolti al largo della Libia alcuni giorni fa.

Non si placa lo scontro tra le organizzazioni umanitarie e il Viminale: Medici senza frontiere fa sapere che le Ong rispetteranno la legge ma non resteranno silenziose e inattive, criticando così la politica del nuovo Esecutivo sugli sbarchi. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, dal canto suo ribadisce di voler proseguire lungo questo percorso. Inoltre, continua ad accusare le navi delle Ong di essere dei “pull factor” (fattori d’attrazione) per l’immigrazione irregolare e per le morti in mare. E ricorda che sono in corso delle indagini, per fare luce sui presunti legami tra le organizzazioni in questione e i trafficanti d’uomini. I salvataggi – commenta lapidario Piantedosi – d’ora in avanti li farà lo Stato in un quadro di regole chiare.

Nel suo editoriale di mercoledì, Cristofaro Sola ha messo a nudo l’ipocrisia degli amministratori locali di sinistra – che ora si trovano improvvisamente a dover fare i conti con una realtà che andava bene fintanto fosse stata lontana dal proprio naso – e di un’Europa che sull’immigrazione non va mai oltre le parole di solidarietà e i vari “stay human”, salvo poi rifiutarsi di tendere la mano all’Italia nella gestione di un fenomeno epocale e fuori controllo.

Questo è il motivo per cui il piano del ministro Piantedosi sui migranti, che pare sarà oggetto di discussione al prossimo Consiglio europeo straordinario del 9-10 febbraio e che porrà ai partner europei il tema della redistribuzione degli sbarcati, si rivelerà un fallimento. Come ha già fatto sapere la presidenza svedese dell’Unione europea, non ci sarà alcun accordo sui migranti. Perché? Perché nessun Paese vuole riempirsi di individui senza né arte né parte la cui presenza – come dimostra l’esperienza italiana – si traduce il più delle volte non in un “arricchimento culturale”, come la retorica buonista e “à la pag” ha voluto farci credere per anni, ma in un’ondata di crimine e in un forte arretramento civile e culturale. A questo proposito, bisognerebbe ricordare che proprio in quella Svezia alla presidenza dell’Unione, da sempre faro di diritti civili e progresso, nelle periferie di Stoccolma o di Malmö, la proverbiale libertà degli svedesi è solo un lontano ricordo, visto che quei sobborghi rappresentano una vera e propria enclave islamica, in cui l’autorità costituita ha sostanzialmente ceduto le sue prerogative alle bande di immigrati e alla sharia. Altro che progresso e ricchezza culturale: l’immigrazione indiscriminata porta regresso e involuzione.

La strategia italiana sulla redistribuzione dei migranti non funzionerà. Si rivelerà l’ennesimo fiasco in sede europea. I partner del Vecchio Continente non si accolleranno il peso economico e sociale dei migranti, non seguiranno la prassi suicida dell’Italia. Europa matrigna? No, solo un po’ ipocrita quando dice all’Italia di fare cose che gli altri non sono disposti a fare. Il nostro Paese deve cambiare approccio sulla questione: chiedere aiuto all’Europa è un diritto ed è un dovere dell’Europa fare qualcosa. Escludendo la pretesa irrealistica (e altrettanto suicida dell'accoglienza indiscriminata) di spargere immigrati clandestini (almeno nella maggior parte dei casi) in giro per il Continente, non c’è altra soluzione che elaborare un piano europeo per la difesa dei confini, l’identificazione dei migranti e i rimpatri. In altri termini, quello che ci vuole è una legge europea sull’immigrazione e una politica comune di gestione di quei confini che, come si dice spesso, non sono solo italiani, greci o spagnoli: ma europei, per l’appunto. Serve unire le forze per pattugliare il Mediterraneo tutti assieme, per riportare le imbarcazioni cariche di migranti nei porti di partenza e per aprire dei centri di accoglienza e di identificazione in quegli stessi Paesi, di concerto con le nazioni africane che vorranno cooperare, in cambio di generosi contributi, ovviamente. Su questo non dovrebbe essere difficile ottenere l’appoggio dei Paesi “sovranisti”, come pure di alcune social-democrazie, come quella danese e finlandese, che pensano a deportazioni e barriere ai confini. Il problema sarebbero principalmente Francia e Germania: con loro basterà mettere a nudo l’ipocrisia dei loro governi.

Se l’Europa non vorrà davvero aiutarci o se non si riuscirà a giungere a un accordo a causa dei soliti veti incrociati (ma quand’è che verrà superato il principio dell’unanimità?), allora non si potrà far altro che elaborare un piano tutto italiano. Non prendiamoci in giro: rendere la vita difficile alle Ong è solo una misura palliativa che non sarà utile nel medio-lungo periodo, dato che non tutti i migranti arrivano a bordo delle navi umanitarie e che, comunque, il problema non sono solo gli arrivi, ma anche la permanenza di questi soggetti sul suolo nazionale.

Inutile, quindi, giocare la carta della redistribuzione: meglio investire energie su una politica di difesa comune dei confini e di identificazione prima delle partenze, istituendo dei centri europei in Nord-Africa, che è poi l’idea che la premier Giorgia Meloni ha sempre portato avanti. Una simile proposta – tessendo le giuste trame a Bruxelles – ha molte più speranze di vedere la luce rispetto a una politica del “mal comune, mezzo gaudio” destinata a infrangersi sulle barricate sia dei Paesi “sovranisti” che di quelli “moralisti”, ossia di quelli che predicano bene ma razzolano davvero molto male.

Aggiornato il 12 gennaio 2023 alle ore 13:12