Tra Santa Inquisizione e Qatargate

venerdì 16 dicembre 2022


Siamo in piena Inquisizione. Non è esattamente come il Sant’Uffizio romano, ma è altrettanto deleteria. Giordano Bruno muore bruciato vivo sui media ogni giorno. Nuovi Galileo Galilei devono ritrattare i post sui social. Certo, molto è cambiato. Guia Soncini dice una cosa molto importante sulla società della “cancel culture” o del politicamente corretto, alias “woke”: “All’inizio di Sapore di mare, i carabinieri prelevano una donna stesa a prendere il sole senza reggiseno. Son mica una delinquente, gli è la moda in tutto il mondo, protesta la villeggiante di Forte dei Marmi. È oltraggio al pubblico pudore, ribadiscono le forze dell’ordine con accento meridionale. La turista inglese chiede perché arrestino la donna in topless, e Christian De Sica risponde perché questo è un Paese di scemi. È l’Italia del 1964 raccontata dai Vanzina negli anni Ottanta”.

Carlo Vanzina aveva allora trentadue anni, ed era convinto di vivere in un Paese cambiato rispetto agli anni ’60. Però negli anni ’80 le cose erano diverse rispetto a oggi, aggiunge Soncini. Per esempio, alla donna in topless, al massimo, sarebbe toccata una multa. Allora le sanzioni e la satira non erano cimiteriali e funeste come un processo alle streghe. Oggi molti ragazzi/e guardando Sapore di mare “lo troverebbero sessista e pieno di cliché patriarcali: la ragazza del Sud che cerca marito, lo sciupafemmine del Nord, l’inglesina dai facili costumi, la quarantenne percepita come una per cui è tutto finito”. Infatti, oggi la vita comincia a 50 anni, però si ride di meno. Siamo diventati il Paese di Rai (Ri)educational, e viene da dire: che palle! Perché non c’è più nulla di in-educativo nell’Inquisizione che dai media declina fino all’ultimo pappagallo, salvo poi tornare in cima dopo questa discesa negli inferi, piena di schifezze varie: la corruzione, la “Moralité”, la purezza, l’etica sociale che restano sempre parole vacue, come nel woke. Tanto che si dovrebbe fare questo assioma a chiasmo: non si devono cambiare le parole per cambiare le cose. Si devono cambiare le cose per poi cambiare anche le parole.

Ho scritto questo appunto mentre stavo di fronte alla triste notizia che il liceo Cavour di Torino ha deciso di mettere i pannicelli agli affreschi della cappella Sistina. Di cappella si tratta. Lo ha decretato il Consiglio di istituto: non si potranno più usare lemmi come “studente” o “studentessa” che diventano nel burocretinese scolastico “student*”. Idem per “ragazz*”. Il mio commento è stato “Un’emerit cretinat di gent che non capisc un caxxx”.

Detto di passaggio: non credo che il conte Camillo benso conte di Cavour o gli student* – tra i quali Guido Gozzano, Giulio Einaudi e Cesare Pavese – transitati nelle aule del liceo torinese approverebbero questa pagliacciata s-culturale, che scambia la realtà con il simbolo, i fonemi e i lemmi con il referente e il significato. È una forma di misconoscenza: il Sant’Ufficio universale non arresta fisicamente ma con normative infinite, in nome del bene elargito al popolo. Peccato che il popolo, invece di essere beneficiato, peggiori. Perché se vuoi combattere il nuovo razzismo, non devi vietare le parole, devi diffondere cultura e tolleranza. Altrimenti favorisci ciò che dici di combattere. Vietare parole lo faceva il fascismo nel Ventennio, quando John Wayne bisognava pronunciarlo con un “Ion Vaine”. Queste sono cose apparentemente secondarie. Ma non è così: noi ci azzuffiamo per l’effimero e perché quasi non possiamo più dire che ci piace un attore/attrice solo perché bello/a (o fico/a). In Iran, invece, stanno morendo e combattendo a mani nude centinaia di migliaia di persone che vorrebbero la libertà di vestirsi come si vuole e di vivere come vogliono.

Mentre ciò succede, in Italia ci danno la linea su come aggettivare un/a tipo/a. In Iran c’è una strage reale e fisica. Qui c’è una strage più effimera, quella del linguaggio, che dovrebbe salire dal basso e non da sette burocratiche o da movimenti di opinione autolesionisti. La comunicazione non è poco: è l’abc della vita. Il woke in realtà è un infinito: noi semplifichiamo, dividendo il genere in due parti, definite peraltro da evidenti attributi sessuali. Abbiamo visto che le sigle Lbgt sono infinite come la distanza tra Achille e la Tartaruga (distanza che è tale nei numeri infiniti che ci sono dopo ogni virgola e prima del numero successivo). Poi è arrivato Lgbt+, ma io mi incavolerei a essere definito un (+). Adesso siamo già arrivati a Lgbtqia+. Tra un po’ ci vorrà un carretto per portare una legge o il testo di un’assemblea di condominio, con tutti i “cari condomini e condomine”, oppure “i nostri concittadini e concittadine”. E poi, vatti a scrivere una poesia d’amore. Come puoi fare? Lei è donna? Sì, però c’ha qualcosa… E allora? I poeti scriveranno “ti amo perché sei bell*?”. Fossi negli student* di Torino mi incavolerei anche nel sentirmi qualificato con (*). Mi viene in mente quell’eurodeputato andreottiano che, mentre era dileggiato dagli altri deputati nordeuropei, reagì dicendo: “Protestate pure, tanto, quando voi stavate ancora sugli alberi, noi a Roma già eravamo frxxx” (absit iniuria a verbis). Li zittì.

QUASAR E QATARGATE

Tutto questo per dire che il Qatargate è figlio della bestialità in cui siamo caduti. Per esempio, da noi le “lobby” sono considerate alla stregua di Josif Stalin o Adolf Hitler. È una idiozia colossale. Un amico mi spiegava che quando all’Europarlamento si decideva che pesci pigliare (non è una battuta), nel Nord Europa si mettevano d’accordo su ogni animale acquatico. Per esempio, i deputati francesi e inglesi imposero la misura sotto cui non si potevano pescare gamberi, mentre intanto i nostri parlamentari giocavano con la Settimana Enigmistica o si limavano le unghie. Risultato: non si potevano più pescare gamberi al di sotto di cinque centimetri di lunghezza (il numero non lo ricordo), perché così non potevano diventare adulti o fare le uova. Le maglie delle reti dovevano essere adeguate a quelle misure. I pescatori dell’Atlantico e del Baltico se ne fregarono altamente, dal momento che in quei mari i gamberi crescono molto di più. Ma nel Tirreno i gamberi sono gamberetti e quelli rossi al massimo non sono più lunghi di cinque centimetri anche a 90 anni. Risultato: pesca ai gamberetti azzerata. A questo servono le lobby. Bisognerebbe dirlo ai retrogradi che le hanno detestate solo per poter fare i lobbisti sottobanco. Parlo alla sinistra politica di questo Paese. Sulla destra dirò che ha molto peccato ma che lo sa, a differenza dei socialdemocratici nostrani, ancora convinti di essere degli Apostoli, a sentire l’eurodeputato del Partito Democratico, Brando Benifei.

Poi succede che il partito dei Migliori venga preso con le mani nella marmellata. I media mainstream italiani hanno definito gli indagati per giorni come “deputati” e “addetti stampa” o portaborse “socialisti europei”. Evitavano accuratamente di dire Pd e Articolo Uno (che sarebbe il partito dove figurano Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema, Roberto Speranza e altri). A sentire i tg sembrava di stare nel 1993, con Antonio Di Pietro e compagnia bella. Accade, invece, che nei giornali dei Riformati luterani nordeuropei e franco-ispanici non si parli di “Qatargatenixoniani, ma di “Italian Job”, come il titolo del film, rapinatori e tutto incluso. Ciò significa che ci siamo sputtanati una volta di più. Forse dovremmo avviare riflessioni serissime (ma non funeree) sul tema. Possibilmente senza dare via libera al solito clan di manettari e impiccapopolo, ovvero i peggiori di tutti, come si vede in questi mesi, in cui personaggi di partiti diventati pubblici ministeri di massa sono indagati. Al confronto dei contanti di Panzeri, la mazzetta di banconote trovata nella cuccia del cane di Monica Cirinnà (innocente, peraltro) era comunque nulla. Non parliamo qui, poi, del deputato Aboubakar Soumahoro.

Io spero una cosa: che in Italia ci sia un giudice in grado di fare le pulci alle dazioni – se ce ne sono state, e io credo/temo di sì – elargite dalla Russia a qualche moscone e influencer politico (Chiara Ferragni non si abbassa alla politica, anzi lo ha fatto, ma solo per guadagnare di più sul fashion). E la scorsa primavera abbiamo scoperto che una governatrice tedesca – Manuela Schwesig – avrebbe messo su una lobby verde pro Gazprom. Non solo. Ci sono le foto dell’ex coppia vicepresidenziale dell’Europarlamento, così glamour e glossy sulle barche a vela. Penso: sono belli e giovani, ma che ci facevano questi due alla vicedirezione del Parlamento europeo? Sembrano inadeguati come un prelato vestito con l’abitino di una ballerina della Scala. Non parlo di aspetti giudiziari (faranno il loro corso, viva la presunzione di innocenza), parlo del look degli indagati.

Mi ha stupito una dichiarazione della piddina Alessandra Moretti di tre anni fa. Un post sui social scritto al ritorno da un viaggio in Qatar dove, parlando di “fake news”, scriveva che in occasione dei lavori per i Mondiali di calcio “in Qatar stanno facendo passi in avanti nella tutela dei diritti anche delle donne e dei lavoratori”. Moretti – che ha visto in questi giorni sequestrati telefoni e sigillato l’ufficio della sua assistente – sottolineava anche: “Abbiamo verificato le condizioni di vita di chi sta offrendo manodopera”. Io credo che Moretti sia innocente. La cito perché l’alternativa mi sembra peggio, ovvero: se scrivi che in Qatar tutto va bene madama la marchesa, e non ti muovi per motivi “concreti”, allora lo fai perché ci credi davvero, dal momento che non sei riuscita a trovare nulla di negativo, forse per incapacità. Allora, che ci sei andata a fare in Qatar? Il problema dell’incapacità è il peggiore di tutti, da Alessandra Moretti al corpo docente del liceo Cavour di Torino, che male interpreta il discorso burocratico-ministeriale sull’inclusione. Bastava – per esempio – costringere gli student* a leggere un libro di Johann Wolfgang von Goethe, che non c’entrerà molto con l’inclusione ma è capace di rendere migliori gli student* più di un Consiglio di istituto. Perché se con tutta la “Santa Inquisizione” cui si assiste risultano sempre dei Qatargate, allora c’è qualcosa di sbagliato nell’Inquisizione e nei suoi predicatori.


di Paolo Della Sala