“Mamma Silvana” e la verità sulla morte di Stefano Recchioni

Nella Basilica di Santa Maria degli Angeli in piazza Esedra, a Roma, si svolgono oggi le esequie di Silvana Pierangelini Recchioni. Non sono funerali di Stato, come sarebbero dovuti essere, ma sono funerali d’onore di una parte della politica italiana. Perché Silvana Pierangelini Recchioni era “una madre coraggio”, che ha insegnato come non odiare e non vendicarsi e come vivere fino a 91 anni, cercando la “verità politica” per suo figlio, Stefano Recchioni.

Chiara Colosimo, consigliere della Regione Lazio per Fratelli d’Italia, ha scritto: “Perdiamo una donna coraggiosa, che ha sempre onorato la memoria del figlio chiedendo giustizia”. Giorgia Meloni, leader della destra italiana, l’ha salutata così: “Ciao mamma Silvana, abbraccia Stefano anche da parte nostra. Non vi dimenticheremo mai”. E Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera dei deputati di FdI, annunciando che “a 91 anni, festeggiati il 15 gennaio, si è spenta la mamma di uno dei tre assassinati nella strage di via Acca Larenzia. L’auspicio è che la giustizia negata possa essere conquistata e assicurata alla storia d’Italia. Molti genitori affranti per la perdita dei loro figli negli anni ’70 non l’hanno avuta. Faccio appello a tutti i partiti, affinché venga istituita una commissione d’inchiesta sulla violenza politica negli Anni di piombo. Perché se la giustizia ormai è una chimera, almeno si conosca la verità”.

Non basta, non è tutto. Le parole migliori su chi era Stefano Recchioni e su quei giovani spietatamente uccisi salgono dalle carceri, dove ancora sono rinchiusi alcuni di quegli anni di sangue e rabbia: “Erano solo dei ragazzi, tutti bravi ragazzi, morti dopo aver subito uno stillicidio di minacce e i loro assassini non solo sono impunti, ma in un certo senso glorificati da masse di progressisti. È facile parlare bene dei morti, ma è difficile trovare dei difetti in ragazzi di sedici, diciassette anni pieni di vita, di ideali e di fede”.

Chi era Stefano Recchioni e cosa è stata la strage di via Acca Larenzia? “Nell’età che ancora non conosce la vita, ho conosciuto la morte”. È la frase che gli attivisti della sezione Tuscolano di via Acca Larenzia incisero su una delle tre targhe – quella dedicata appunto a Stefano Recchioni – apposte, nelle settimane successive a quanto avvenuto, nei luoghi dove erano caduti i tre giovani del Fronte della Gioventù. Due di queste targhe sono andate distrutte in attentati dinamitardi successivi, la terza dedicata a Francesco Ciavatta invece è ancora lì.

Stefano Recchioni morì il 9 gennaio 1978 dopo due giorni di agonia. A differenza di Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta non era neanche della sezione Tuscolano. Stefano frequentava con orgoglio la sezione Colle Oppio, una delle prime sezioni missine ad aprire a Roma subito dopo la guerra. Era un ragazzo entusiasta, dinamico, pieno di interessi. Era il chitarrista degli Janus, uno dei primi gruppi alternativi, e anche uno dei più professionali. E non vedeva l’ora di partire per il servizio militare. Sarebbe andato nei paracadutisti, che nell’immaginario dei giovani di allora era simbolo di coraggio. Per questo lo avevano soprannominato “er parà”. Ma Stefano non ci arrivò mai ad arruolarsi. La sua vita si fermò la sera del 7 gennaio 1978 davanti alla sezione Tuscolano, dove diciannovenne era accorso insieme con centinaia di altri giovani e militanti più grandi appena si era diffusa la notizia del massacro. Era corso lì per coraggio, per generosità, per solidarietà.

L’ultima immagine da vivo di Stefano Recchioni è una foto vicino all’allora segretario del Fronte della Gioventù, Gianfranco Fini. In capo a una manciata di minuti, Fini fu raggiunto da un lacrimogeno su una gamba e Stefano fu centrato da un proiettile in piena fronte. Per caso? E chi sparò? Versioni contrapposte, un braccio di ferro tra il Movimento Sociale italiano di Giorgio Almirante con le forze neofasciste atlantiste e le nuove leve dei gruppi extraparlamentari che chiedevano l’incriminazione del capitano dei carabinieri indicato come il responsabile. Poi, la solita trama fitta di misteri, come in tutti i fatti di quegli anni.

Di certo la sera del 7 gennaio 1978 un commando” composto da almeno cinque persone “mai identificate” aprì il fuoco contro la Sezione di Acca Larenzia. Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, i due giovani che si stavano recando a volantinare, furono colpiti alle spalle mentre cercavano di scappare. Un’esecuzione anche quella o solo una spedizione punitiva? Avevano rispettivamente venti e diciotto anni, erano giovani appassionati e fiduciosi. La notizia della “strage” si diffuse come le grida disumane di una sollevazione e per questo accorsero da tutte le sezioni.

Informati i vertici dell’Msi, Almirante ordinò a Gianfranco Fini di trasformare quella “chiamata” in una manifestazione, ma le forze dell’ordine erano ormai in assetto da guerra. Slogan e braccia alzate contro i carabinieri che difendevano i compagni dalla parte opposta, fino a che un lacrimogeno centrò la gamba di Fini e subito dopo partì il colpo che raggiunse Recchioni. Può mai essere partito per caso?  E perché l’attentato fu subito rivendicato con una telefonata dalla sigla “Nuclei armati per il contropotere territoriale”? E la mitraglietta Skorpion utilizzata per uccidere Bigonzetti e Ciavatta perché fu ritrovata nel 1988 in un covo delle Brigate Rosse e fu utilizzata per compiere tre omicidi firmati dall’organizzazione armata? Aggiungo io: è per caso la stessa che uccise Aldo Moro?

Ha fatto benissimo Fabio Rampelli a chiedere una commissione parlamentare d’inchiesta e credo che “mamma Silvana” avrebbe voluto sentire questo, finalmente. Perché Silvana Pierangelini Recchioni è morta il 9 gennaio 1978 insieme con Stefano, ma è vissuta fino a 91 anni per la verità.

Aggiornato il 19 gennaio 2022 alle ore 12:36