La candidatura del Cavaliere per l’elezione alla carica di Presidente della Repubblica viene vissuta da una parte del sistema politico italiano come estremamente “divisiva”. Le “raffinate” analisi a supporto sono le più disparate; partono dal conflitto d’interessi (“si fece i c…i suoi”), passano dall’evasione fiscale (“si arrangiò”) e dall’associazione mafiosa (“lavorando non si diventa ricchi”), planano sulle relazioni con il gentil sesso (“mi…ttaro incallito”). Silvio, in poche parole, è il male assoluto.

Per parte mia, questa “divisività” non riesco proprio a vederla. Altresì, noto nella sua elezione una grande e importante occasione di riappacificazione nazionale, una naturale sintesi riconciliativa della frattura consumata con la caduta della Prima Repubblica, la quale determinò una rottura del sistema, dei suoi vasi comunicanti, dei suoi ammortizzatori, dei suoi semafori, dei suoi sistemi di controllo, che garantivano una cementata struttura atta a superare prove durissime, dall’attentato a Palmiro Togliatti, alla strage di Portella della Ginestra, dalle Brigate Rosse al taglio della Scala Mobile.

Un equilibrio che ci ha visto sconfiggere l’inflazione; che non ci faceva temere le potenze industriali internazionali; che poneva la politica estera al centro del suo interesse. E in quel contesto di entusiasmo e ottimismo non interessava a nessuno se l’onorevole, quand’anche cattolico-cristiano, andasse a messa la domenica, poi a pranzo stesse in famiglia e il pomeriggio e la notte si intrattenesse con l’amante.

I reati erano ben altri: chi rubava sapeva di commettere reato; chi si associava sapeva di essere perseguito; sul punto si potrebbero fare mille esempi. Le istituzioni democratiche reggevano sempre e comunque. L’imperativo, sia pubblico sia privato, era “andare avanti”; il “condannato” aveva un’altra chance; l’istituzione non entrava in crisi e continuava il suo percorso, indipendentemente dalla condanna in cui rischiava di incorrere il funzionario.

Silvio Berlusconi, tra le colpe politiche, ha certamente avuto quella di non aver mantenuto la promessa della Rivoluzione liberale; non è escluso che abbia avuto paura per sé, per la famiglia, per l’azienda. Egli, tuttavia, in quanto candidato al Quirinale, incarna la sintesi dei pregi e dei difetti, del bene e del male, del chiaro e dello scuro, della nostra amata Italia; al contempo, rappresenta la sintesi e la sublimazione dei difetti e delle virtù italiche. Sotto questo profilo, la sua stessa persona è rappresentativa dell’italianità, di quel tratto comune che contribuisce alla nostra identità di popolo. Sicché, il Colle più alto rappresenterà quella luna dalla quale il maestro Federico Fellini voleva farlo apparire, nel finale del suo ultimo film “La Voce della Luna”, mentre Roberto Benigni, protagonista disincantato, lo ascoltava esclamare la parola “pubblicità”.

Sono trascorsi quasi trent’anni dalla sua discesa in campo; Silvio ha lottato, si è difeso, non ha più niente da perdere. Se quest’ultima battaglia sarà vincente, cercherà di dare il meglio di sé; dovrà rendere conto solo all’Italia, sarà difficilmente ricattabile e assolutamente imprevedibile. Questa volta non si limiterà allo spot, non annuncerà, come nei sogni felliniani, dalla luna la “pubblicità”; cercherà di passare alla storia. Per questo la sua candidatura è classificata come fortemente “divisiva” dal sistema di potere consolidato.

Ritengo, invece, che la presidenza di Berlusconi avrebbe un significato ben preciso: si ripristinerebbe, finalmente, il primato della politica. Proprio il fatto che le frange più estreme del giustizialismo, avendo eletto Berlusconi a nemico assoluto, continuano a osteggiarlo in tutti i modi, fa sì che la sua ascesa al Colle esprimerebbe la volontà della politica di affrancarsi dalla “tutela” della giustizia la quale, in nome del “controllo di legalità”, pretende di condizionare il corso degli eventi politici. Ciò non sarebbe affatto “divisivo”; al contrario, consentirebbe la convergenza di uno schieramento ampio sull’obiettivo comune di affrancare la politica dalle esondazioni dell’apparato investigativo e giudiziario. E Dio solo sa quanto beneficio ne trarrebbero tutte le forze politiche e tutti i protagonisti, nessuno escluso, della libera dinamica della fragile democrazia italiana.

Aggiornato il 18 gennaio 2022 alle ore 10:25