La vera malattia è un’altra

Dopo un lungo periodo di silenzio e di sostanziale assenza, si riaffaccia sulla scena politica Massimo D’Alema. Lo fa con una dichiarazione assai pesante che minaccia di sconvolgere il notoriamente precario equilibrio del centrosinistra. L’ex premier e dirigente di Articolo Uno – movimento cui hanno dato vita gli scissionisti del Partito Democratico e che, dal loro punto di vista, avrebbe dovuto rappresentare il “sinistrismo” italiano allo stato più puro, vale a dire non contaminato dalle tentazioni “lib-lab” e riformiste – ha infatti parlato della segreteria di Matteo Renzi come di una “malattia che fortunatamente è guarita da sola”. La stoccata di D’Alema arriva in seguito all’annuncio che Articolo Uno avrebbe ormai adempiuto al suo compito – quello di riportare il Partito Democratico all’ortodossia – per cui i tempi sarebbero maturi per un “ritorno alla casa-madre”. In altre parole, ora che Renzi e i suoi se ne sono andati e i pochi che, di simpatie renziane, ancora stanno nel Partito Democratico sono ormai ridotti all’irrilevanza, ma soprattutto ora che c’è un segretario, Enrico Letta, decisamente più sbilanciato a sinistra rispetto ai suoi due predecessori, D’Alema e le “schiere rosse” sono pronti a sciogliere Articolo Uno per confluire nuovamente nell’area dem.

L’affondo di D’Alema, tuttavia, ha suscitato un vespaio di polemiche all’interno dello stesso Partito Democratico. Il segretario sceglie la via dell’equilibrismo parolaio e, senza sbilanciarsi troppo, si limita a twittare che il Partito Democratico, sin dalle sue origini, è stato e sarà sempre l’unica casa dei democratici e dei progressisti italiani, e sebbene abbia attraversato varie fasi storiche non è mai stato malato, ma caratterizzato sempre e solo dalla passione e dall’impegno. Tradotto dal politichese all’italiano: da noi c’è posto per tutti, non fosse altro che siamo la sigla nata dall’alleanza tra ex democristiani ed ex comunisti (cosa non avrebbero fatto per fermare Silvio Berlusconi, vero?). Ne consegue che qualche screzio o qualche altalenanza programmatica e ideologica di tanto in tanto è perfettamente naturale. Ciò che conta è riuscire sempre a trovare la quadra e a restare compatti.

Tuttavia, non tutti nel Partito Democratico reagiscono con la stessa pacatezza di Letta. Le parole di D’Alema guardano al passato e rimestano rancori mai sopiti, tuona il senatore Alessandro Alfieri, coordinatore di Base Riformista (la corrente in odore di renzismo). Se questi sono i presupposti per ragionare sul futuro del partito, la questione semplicemente non esiste, conclude Alfieri. Ed effettivamente sarebbero in molti a essere sulla stessa lunghezza d’onda: al Nazareno sarebbero in molti a provare una profonda irritazione per le parole usate da D’Alema.

Il “convitato di pietra”, Matteo Renzi, dal canto suo non si lascia sfuggire l’occasione per restituire il colpo allo storico nemico. D’Alema – commenta l’attuale leader di Italia Viva – rientra nel Partito Democratico, sostenendo che il periodo in cui il movimento si trovava al quaranta per cento ha portato a casa una legge sulle unioni civili, esprimeva un Governo con una vera parità di genere ed è riuscito a creare un milione di posti di lavoro, era malato. Sono parole che si commentano da sole. Chiude lanciando un messaggio velato agli ex compagni di partito: nel mandare un abbraccio di solidarietà per il loro aver sognato un partito riformista ed essersi trovati invece in un partito dalemiano, sembra quasi che li stia invitando a lasciare definitivamente la nave che rischia di tornare a breve a battere “bandiera rossa” per unirsi al fronte libera-ldemocratico che Renzi, assieme con altri, starebbe cercando di costruire.

Non intendo commentare i toni dalemiani, che nella loro durezza fanno comunque parte del gioco della politica. Detto questo, di Massimo D’Alema (e di altri come lui) non si può che pensare il peggio: non tanto perché, per uno di destra come il sottoscritto, l’ex premier rappresenta un residuato del vecchio comunismo italiano che ha disperatamente cercato di riciclarsi nel tentativo di bloccare ogni tipo di riforma in senso liberale dello Stato italiano per difendere l’impianto sovietico delle leggi sul lavoro piuttosto che sul welfare; bensì perché D’Alema (e altri come lui, anche a destra) rappresentano l’anima reazionaria dei partiti, delle istituzioni e delle classi politiche. Uso qui il termine “reazionario” nella sua accezione letterale e “impolitica”, cioè per indicare coloro che avversano ideologicamente il cambiamento e che, anche a condizioni sociali, politiche ed economiche profondamente mutate, continuano a caldeggiare improbabili ritorni ad assetti e formule ormai tramontati o, comunque, non più realisticamente praticabili o sostenibili.

È proprio il caso di D’Alema, che nel suo essere un irriducibile comunista è anche un irriducibile reazionario. Sono sempre stato fortemente critico nei confronti di Matteo Renzi, per il quale non ho mai avuto alcuna simpatia. Ma se bisogna “dare a Cesare quel che è di Cesare”, allora si deve riconoscere che Renzi ha cercato in tutti i modi di dare al Partito Democratico un nuovo look: quello di una sinistra riformista e pragmatica. Probabilmente è questo che D’Alema e i suoi non hanno mai digerito: l’idea di un Partito Democratico e di una sinistra che non fossero schiavi dei sindacati, che non credessero più alla lotta di classe o ai piani quinquennali e che non disdegnassero il dialogo con Confindustria e le multinazionali.

In effetti, in tutti i partiti ci sono i D’Alema, perché in tutte le forze politiche vi sono coloro che vedono nell’adeguamento delle idee alle mutate contingenze storico-sociali ed economiche non un’occasione per perpetuare determinati principi e per permettere loro di continuare a esistere e a produrre risultati benefici nella pratica, ma un pericolo per l’integrità degli stessi. E nella loro smania di tenere tutto esattamente così com’è, senza cambiare assolutamente nulla, finiscono per consegnare all’irrilevanza e all’oblio proprio quello che volevano difendere: in questo senso la “malattia” della sinistra è proprio il dalemismo, non il renzismo; proprio come quella della destra sono le tentazioni nostalgiche (e non mi riferisco solo al Ventennio).

Succederà proprio questo al Partito Democratico che, riaccogliendo D’Alema e issando nuovamente la bandiera rossa (più di quanto non abbia già fatto con la segreteria di Letta) si condannerà da solo alla scomparsa e finirà per lasciare spazio a una diversa sinistra, più connessa con la realtà del tempo in cui viviamo. Chissà che non si tratterà proprio del fronte renziano che i trinariciuti accusano di tradimento e di simpatie destrorse.

Aggiornato il 05 gennaio 2022 alle ore 10:26