Ciclo dei rifiuti: un disastro annunciato

martedì 4 gennaio 2022


Il recente Rapporto sui rifiuti urbani 2021 dell’Ente pubblico Ispra evidenzia il continuo disastro di Roma nella gestione del ciclo dei rifiuti: la scarsa quantità e qualità nella raccolta differenziata e la mancanza di investimenti nelle tecnologie comportano sia l’aumento delle discariche abusive, sia i persistenti e costosi viaggi di tir carichi di rifiuti verso il resto del Lazio, le altre regioni e l’Europa.

Con i suoi due milioni e ottocentomila abitanti, Roma ha prodotto (nel 2020) 1.529.044 tonnellate di rifiuti: una quantità di rifiuti inferiore a quella dell’anno precedente (1.691.887) a causa della crisi pandemica tra blocco delle attività, riduzione del pendolarismo per effetto dello smart working, crollo dei flussi turistici e contrazione dei consumi. In parallelo, la percentuale della raccolta differenziata si è fermata al 43,8 per cento, perdendo 1,5 punti rispetto al 2019 e a quasi 20 punti di scarto da Milano (62,7 per cento).

La precedente Amministrazione guidata dai Cinque Stelle si era (addirittura) data come obiettivo per fine consiliatura il 70 per cento della raccolta differenziata senza porsi il problema degli investimenti necessari per chiudere il ciclo dei rifiuti. Gli unici quattro impianti della municipalizzata romana situati tra Rocca Cencia, Laurentino e Maccarese coprono attualmente circa il 15 per cento del fabbisogno totale di trattamento dei rifiuti raccolti (il 25 per cento dell’indifferenziato, il 10 per cento del multimateriale da selezionare e l’8 per cento dell’organico), evidenziando una forte carenza impiantistica con un conseguente aggravio dei costi sostenuti per il conferimento dei rifiuti in altri siti di trattamento e smaltimento sparsi in Italia e in Europa.

Con il nuovo sindaco Roberto Gualtieri la musica non cambia (ancora): il suo piano di pulizia straordinaria da 40 milioni di euro lanciato nei mesi scorsi è stato un flop al punto che lo stesso sindaco ha ammesso che la missione “decoro” è impossibile raggiungerla in tempi brevi. Ma la giunta capitolina ha un’altra bella gatta da pelare: il rischio è di non arrivare alla presentazione di progetti esecutivi (entro il prossimo 16 febbraio 2022) di nuovi impianti in risposta al Piano nazionale di ripresa e resilienza, che stanzia a livello nazionale una somma pari a 2 miliardi di euro per la componente “economia circolare e gestione dei rifiuti” contenuta nella missione “rivoluzione verde e transizione ecologica”. In particolare, ci sono in ballo centinaia di milioni di euro per realizzare le isole ecologiche, i centri di raccolta, le stazioni di trasferenza, gli impianti di valorizzazione dei rifiuti organici come quelli di compostaggio stabiliti e autorizzati a Casal Selce e Cesano (osteggiati da associazioni e da buona parte della classe politica locale di destra e sinistra) e le tecnologie innovative per il recupero di materie prime, ma anche plastiche e carta.

È bene ricordare che il Pnrr non concede soldi per i progetti relativi agli investimenti in impianti di trattamento meccanico biologico e di termovalorizzazione. Una scelta politica sbagliata che non tiene in considerazione il principio del recupero energetico (previsto nell’ambito della gerarchia dei rifiuti come da normativa ambientale) attivato dai termovalorizzatori quali tecnologie innovative e sostenibili in grado di garantire benefici (anche economici) per le comunità locali interessate. In sostanza, il nostro Governo pretende che i rifiuti indifferenziati debbano scomparire con la bacchetta magica e non essere valorizzati per trasformarli in energia elettrica e calore.

Anche a Roma le istituzioni locali e gli pseudo-ambientalisti sono dello stesso parere e sostengono che non ci sia una relazione stretta tra l’aumento di percentuale della raccolta differenziata e la presenza di termovalorizzatori. Falso. Nelle regioni del centro-nord (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana) e in tutte le capitali europee queste tecnologie vanno a gonfie vele come le stesse percentuali di raccolta differenziata. Per questo motivo, la Regione Lazio (competente in materia) deve rimettere in discussione il suo Piano di gestione dei rifiuti del 2020 e tornare a quello precedente che contemplava quattro impianti di termovalorizzazione confermati dal decretoSblocca impianti” del 2016 da realizzare anche a Roma. Il via libera di questi mesi (in attesa dell’ok formale della Conferenza di servizi) da parte della stessa Regione alla quarta linea dell’unico termovalorizzatore situato a San Vittore del Lazio non è sufficiente.

La crisi della gestione dei rifiuti a Roma e nel centro-sud dell’Italia non è un caso isolato: la questione “infrastrutturale” e quella energetica presentano le stesse storture. Mentre gli altri Paesi europei si innovano, investono nelle infrastrutture materiali e immateriali, esplorano ed estraggono petrolio e gas nel proprio sottosuolo, valorizzano e recuperano energeticamente i rifiuti, dalle nostre parti il populismo ambientalista e la sindrome del Nimby (non nel mio cortile) e soprattutto Nimto (non nel mio mandato elettorale) rappresentano i principali ostacoli al raggiungimento degli obiettivi della competitività del tessuto produttivo e della generale crescita economica e sociale del Paese, della transizione ecologica e dell’ammodernamento e realizzazione delle infrastrutture sostenibili tra strade, ferrovie, porti e aeroporti. Ma non dimentichiamo che finora sono mancate anche una pianificazione strategica, una semplificazione normativa e burocratica/procedurale, una modalità di comunicazione e la gestione del consenso. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza potrà (in parte) risolvere tali criticità attraverso le relative riforme abilitanti, consentendo di abbattere le barriere agli investimenti pubblici e privati.

(*) Presidente Ripensiamo Roma


di Donato Bonanni (*)