Capitolo ottavo

L’altra Roma: delinquenza e criminalità organizzata

Questa campagna elettorale per il nuovo sindaco è omogenea in un solo punto: si rivolge ai romani come se tutti fossero gente perbene e ricchi di senso civico. Non è così e lo sappiamo bene. Certo sappiamo altrettanto bene che, nonostante i proclami dei vari candidati per l’impegno alla sicurezza, le competenze dirette in tema di contrasto all’illegalità di un primo cittadino sono piuttosto limitate. Questo però non esime il prossimo eletto dall’intervenire nella parte oscura del panorama della nostra città. L’Eurispes, istituto che ha dato vita ad un Osservatorio permanente sulla sicurezza e propone da oltre trent’anni il Rapporto Italia, guida alla lettura e alla comprensione del nostro Paese, fece una interessantissima indagine del nel 2016 con ragazzi tra i 15 e i 20 anni proponendo “Se io fossi sindaco…”. Alla domanda Come sindaco, qual è l’etichetta negativa associata a Roma che più ti premerebbe cancellare?

Le risposte più frequenti sono state La città di Mafia Capitale 35,9 per cento e La città dove non funziona nulla 30,3 per cento. In tema di sicurezza, i ragazzi ritenevano opportuno incrementare la presenza di carabinieri e polizia 79,5 per cento ma meno di vigili 59,1 per cento e contrari alla presenza dei soldati in strada 50,2 per cento. Il primo problema che affronterebbero è la corruzione con una percentuale del 29 per cento contro, ad esempio il 3,5 per cento dell’inquinamento e il 2,3 per cento del traffico. Gli intervistati di allora hanno oggi tra 21 e i 26 anni e per quanto possano cambiare opinioni e convinzioni, probabilmente credo che darebbero risposte con percentuali simili.

Considerando l’insieme delle risposte a tutti i questionari somministrati, la richiesta di fondo era è forse lo è ancora quella di una serena convivenza. Gli ostacoli a questo sono in primis la microcriminalità, il rispetto dei regolamenti comunali e il contrasto all’abusivismo immobiliare e commerciale, l’integrazione degli stranieri che vivono a Roma. Richieste e necessità dei cittadini che devono comunque guidare il lavoro di un sindaco nei limiti del proprio ruolo. Conoscere però la realtà vera, come si usa dire, è importante e possibile. Gli strumenti ci sono e vanno utilizzati perché il momento è particolarmente importante per l’intera nazione.

Già nella relazione semestrale del 2019 la Dia, la Direzione investigativa antimafia, descrivendo il complesso scenario romano descriveva la Capitale come un vero e proprio laboratorio criminale disegnando una mappa dove i vari gruppi, italiani e non, si stanno misurando per raggiungere accordi, strutturazioni e modalità nuove. Si riducono gli atti violenti e si incrementa il braccio dei colletti bianchi per equilibrare l’influenza e il potere tra le organizzazioni e, naturalmente, per ripulire e riciclare gli importanti introiti delle diverse “attività”.

È da sottolineare che, pur sembrando un assurdo, una delle valutazioni mai messe per iscritto ma magari suggerita sottovoce è che l’esistenza di qualcosa e qualcuno che comanda a Roma rappresenta un grande ostacolo ad eventi di terrorismo. È funzionale alla prevenzione e alla sicurezza dello Stato. Lasciamo le spy stories, quello che noi mortali romani vediamo e viviamo è meno in ombra e percepito più chiaramente: la prostituzione; il borseggio; lo sfruttamento di mano d’opera; l’usura; i furti in abitazioni e nelle attività commerciali; le bande organizzate per narcotizzare e derubare gli anziani soli; i furti d’auto, di moto e di biciclette; le occupazioni e il mercato delle case popolari; i raggiri con i falsi incidenti stradali; il consumo e lo spaccio di droga; le violenze di genere; borse e articoli contraffatti venduti lungo i marciapiedi. Storie di tutti i giorni, storie che tutti noi abbiamo sentito o incontrato e che, mettendo sulla bilancia anche le generali difficoltà economiche di chi abbiamo vicino, rischia di diventare la normalità del vivere nella Capitale.

Per reagire a questa sensazione, magari fondata, di incertezza e di insicurezza, i nostri ragazzi hanno poche strade per tornare a credere in un futuro prossimo e vivibile. Sembra più conveniente essere un lupo di periferia come cantava Lucio Dalla in “Anna e Marco”. Non siamo ancora alle gang di quartiere o di strada ma, almeno per quanto riguarda le comitive dei giovani stranieri, vediamo all’orizzonte proprio questo identificarsi in un gruppo o in un credo religioso che, se pur aggressivo, è in fin dei conti una forma di difesa da un mondo che tutti dovremmo prendere a cuore e che invece fingiamo di non vedere. Da questo punto di vista, lo scranno più alto del Campidoglio si fa molto, molto scomodo e pericoloso. Forse è qui il motivo per cui nella competizione elettorale si parla, prudentemente, di altri argomenti.

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Aggiornato il 27 settembre 2021 alle ore 10:33