Craxi e l’inizio dell’antipolitica nel libro di Filippo Facci

Ladri! Ladri! Ladri!”. Tra le immagini televisive del periodo dell’inchiesta di Mani Pulite che sono rimaste scolpite nella memoria degli italiani c’è anche questa del deputato Marco Formentini, dell’allora Lega Nord, che inveisce e si sbraccia alla negazione dell’autorizzazione a procedere della Camera dei deputati per l’accusa di corruzione nei confronti di Bettino Craxi. Presenti 565, maggioranza 283, favorevoli 273, contrari 291. Subito dopo si passerà all’accusa di corruzione in luogo non accertato e la Camera respingerà anche quella, insieme a quella di ricettazione e ipotesi connesse e quella di perquisizione alla ricerca di registri, estratti conto, bilanci, contratti che potessero fornire prove di colpevolezza di quelle tangenti che fecero deflagare Tangentopoli. Fu approvata, in quel giorno chiave per la storia parlamentare e per quella italiana, solamente l’ipotesi di violazione del finanziamento pubblico ai partiti a Milano e a Roma. In seguito, Umberto Bossi rincarò la dose, dichiarando che il partito di Achille Occhetto aveva pagato la sua quota di affiliazione al governo Ciampi e per Roberto Maroni ci fu un palese scambio di voti tra Democrazia Cristiana e Partito Socialista italiano. Oltre che un fatto politico, a posteriori quel voto fu anche l’inizio notabile del modus operandi di una magistratura non sempre cristallina che eccede il limite del suo potere e sconfina in qualcosa di difficile definizione ancora oggi.

Il giorno dopo Giovanni Maria Bellu, sul quotidiano La Repubblica, si interrogava su chi fosse stato “il colpevole” di quella assoluzione, che poi sappiamo bene che un’assoluzione non è stata affatto. Quattro no e due sì, concesse le autorizzazioni per le indagini a Roma e respinte quelle a Milano. Fu in quel momento che scattò ufficialmente la caccia alle streghe che Filippo Facci descrive agevolmente nel sul libro appena pubblicato “30 Aprile 1993: Bettino Craxi, l’ultimo giorno di una Repubblica e la fine della politica” (Marsilio).

Tornano alla mente anche i programmi televisivi di quella sera, minuziosamente ricercati e conservati nell’archivio dell’autore, e quel fatidico lancio di monetine davanti all’abitazione privata di Craxi in centro a Roma, quel non del tutto estemporaneo tentativo di linciaggio davanti all’hotel Raphael che è divenuto il simbolo deteriore di un intero periodo politico e di buona parte della sua classe dirigente. Il trenta aprile era un venerdì e, quasi a voler ricordare una passione di Cristo, Facci ce lo ricorda, e ci descrive un Bettino Craxi distaccato che ha la forza d’animo di trattenersi, anche dallo sconforto.

Incredibilmente, in questi casi è d’uopo inserire una rimembranza personale: quel giorno anche io, poco più che adolescente, passai di là mentre andavo a lezione di francese al Centro culturale dell’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede e con il motorino mi ritrovai proprio davanti la berlina, che sfrecciava a tutta birra portando via Craxi dalla folla che si era riversata ovunque in mezzo alla strada. Più tardi, rientrando a casa trovai mio padre, allora vicino alla dirigenza del partito romano, sul divano, che guardava il telegiornale affranto e con gli occhi lucidi e non si capacitava di tanto livore. E pensare che quello sarebbe stato solo l’inizio di un lungo stillicidio denigratorio umano e giudiziario.

Colpisce a riguardo il ragionamento di Biagio Marzo riportato nel libro: “Sembra che in questo Paese tutti vogliano un piazzale Loreto”. E di fatto così è stato, seppur sotto forma di esilio volontario – e più o meno inevitabile – di Craxi ad Hammamet e, per certi versi, così è ancora. Strugge la lettera, riportata integralmente, del poi suicida Sergio Moroni indirizzata al presidente della Camera, Giorgio Napolitano, in cui dispera di processi morali e sommari in piazza e in televisione che per due decenni, da allora, hanno trasformato – e ancora oggi travisano su alcuni giornali legati a movimenti giustizialisti e manettari – l’informazione di garanzia in una sentenza di condanna preventiva: furono gli albori dei processi mediatici prima dell’era social e la nascita dell’antipolitica.

I nomi che riecheggiano in questa ricostruzione sistematica di quello che può senz’altro essere considerato come un punto critico della morale pubblica e privata degli italiani sono eminenti, come quello di Cagliari e di Ligresti, De Benedetti, Occhetto, Martelli il delfino “ingrato”, La Malfa, Giuliano Ferrara e molti altri tra i quali il compianto direttore di questo giornale, Arturo Diaconale  e il direttore editoriale Paolo Pillitteri, già protagonista di un altro libro dello stesso autore (“Io li conoscevo bene. Tracollo e rovina di una classe dirigente nell’intervista-confessione di un protagonista”, Newton Compton Editori) nonché, l’avvocato penalista Corso Bovio che, sconsolato, non poté che constatare che in quel momento o confessavi o finivi nel tritacarne.

Ma il racconto si snoda anche attraverso altri avvenimenti di quegli anni che non possono essere del tutto scollegati e che di fatto non lo sono, quali gli attentati ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sfacciatamente sfruttati per portare acqua all’inchiesta. E poi in questo libro naturalmente c’è Craxi, un Craxi privato oltre che pubblico, l’uomo amato e odiato che nottetempo ciondola per casa e si attarda davanti al frigorifero, che scherza con gusto, che ama la famiglia, che in un episodio inedito raccontato nel libro rivela una certa intemperanza passionale e rissosa, che fa della malinconia occasione di battaglia, seppur di retroguardia, che non cede mai alla tentazione di abdicare alla dignità.

È un racconto di cronaca puntuale ed estremamente equilibrato, scorrevole e mai noioso dove l’autore, testimone privilegiato dei fatti, con l’esperienza e l’indole del cronista giudiziario d’inchiesta non indulge in personalismi eccessivi, a parte il fatto che abbiamo capito che a Facci piace la pallacanestro e non rinnega gli amici. Un racconto per chi c’era ma soprattutto per chi, magari troppo giovane, non c’era e per chi non ha capito fino in fondo, o non gli hanno fatto scientemente capire, cosa successe davvero il 30 aprile 1993.

Aggiornato il 27 aprile 2021 alle ore 10:42