Salvini e Meloni “sorvegliati speciali”

Su L’Opinione delle libertà, grazie ad un input iniziale del direttore Andrea Mancia, si è aperto un dibattito, bello ed interessante, circa il futuro del centrodestra italiano e dei suoi elettori. Si cerca di ragionare, come è ovvio che sia, sulla relazione fra il centrodestra, l’attuale ed anche una possibile coalizione diversa dell’Italia post-Covid e post-Mario Draghi, e il liberalismo, l’europeismo, il cosiddetto sovranismo.

Come sappiamo, la situazione del momento è quella di un centrodestra diviso a livello nazionale, ma unito nelle Amministrazioni locali. La Lega e Forza Italia sostengono entrambe il Governo di Mario Draghi, ma è la prima ad avere maggiormente gli occhi puntati di tutti o quasi, sia dei simpatizzanti che dei detrattori. Il peso elettorale, differente fra il Carroccio e il partito di Silvio Berlusconi, influisce solo in parte. Forza Italia, che già non ha dovuto effettuare particolari virate per partecipare all’esecutivo Draghi, crea inevitabilmente meno suspense. Gli azzurri erano prima allineati al Partito Popolare europeo e poco critici verso lo status-quo del Vecchio Continente, e lo sono tuttora. Matteo Salvini ha ritenuto invece di fare qualche precisazione in più in merito alle relazioni con l’Unione europea.

Dobbiamo ammetterlo, la sinistra continua ad essere abile nel manipolare le parole altrui, ma, al netto delle interpretazioni interessate e strumentali, non è possibile liquidare le aperture salviniane come una tardiva folgorazione sulla via di Damasco. E nemmeno come un tradimento dei principi originari, compiuto in nome della poltrona, oppure come una svolta soltanto di facciata, decisa per sedurre, e magari poi abbandonare, Mario Draghi. Criticare l’impostazione “franco-tedesca” dell’Europa contemporanea e l’aver segnalato le storture della moneta unica, non significa per forza non essere europeisti o pretendere la cancellazione immediata della Ue e dell’euro. Semmai, ciò incarna il legittimo desiderio per una comunità europea diversa, migliore dell’attuale. Si può essere europeisti senza essere devoti a Emmanuel Macron e Angela Merkel.

Detto questo, Matteo Salvini si è senz’altro inserito in una posizione non facile. Oltre al rapporto con Bruxelles, vi è il tema spinoso delle chiusure anti-Covid e della gestione della pandemia, campagna vaccinale inclusa. L’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi ha generato delle aspettative, sia per quanto riguarda una accelerazione della somministrazione dei vaccini che in merito ad un approccio diverso sul fronte del contenimento del virus, fatto non solo di inutili e dannose chiusure. E la collaborazione di Salvini ha fatto sperare in una conduzione di questo drammatico momento, non soltanto ipotecata ai cosiddetti giallorossi, che hanno già dato, e male, nel precedente Governo.

Qualcosa di buono è stato finora fatto, come la rimozione di Domenico Arcuri, ma siamo ancora indietro, su tutto! Salvini è probabilmente consapevole della delusione crescente presso il suo elettorato e della rabbia di un Paese che non ne può davvero più. Non ignora il grido di disperazione di tutte le categorie vittime dei vari colpi di lockdown, le quali, giustamente, hanno deciso di manifestare il loro dolore dinanzi ai palazzi del potere. Ma nel frattempo deve vedersela anche con gli attuali partner di Governo. Certo, se non vi dovesse essere a breve un cambiamento, il leader della Lega farebbe bene ad interrogarsi sulla utilità della presenza del proprio partito in questa maggioranza.

Al momento, l’unica che pare trovarsi in una collocazione tutto sommato semplice da portare avanti, perché stare alla opposizione è spesso meno complicato, è Giorgia Meloni. Però, anche la leader di Fratelli d’Italia è sotto i riflettori, e viene osservata in modo speciale tanto da coloro i quali hanno a cuore il futuro del centrodestra italiano, quanto da chi teme l’ascesa di questa donna tenace. In questa fase Fratelli d’Italia è l’unica opposizione parlamentare esistente, e tale rimarrà, a meno di qualche colpo di scena, sino alla fine del Governo Draghi. Ma in una stagione politica nuova, se il consenso registrato dai sondaggi sarà confermato nelle urne, un partito capace di sfiorare il 20 per cento dei voti dovrà decidere come “investire” il consistente capitale elettorale. Quando gli elettori cominciano ad essere tanti, ci sono onori, ma anche oneri e maggiori responsabilità.

Naturalmente si spera che le forze di centrodestra, una volta esaurita l’esperienza Draghi, ritrovino l’unità, così come è già accaduto in circostanze passate. Tuttavia, la coesione della coalizione e possibili vittorie elettorali possono non essere sufficienti. Come è stato suggerito dai vari partecipanti al dibattito de L’Opinione, è necessario che il centrodestra ritrovi un collante ideale, un idem sentire, anche e soprattutto per rispondere alla propria base, che è più avanti dei partiti e dei loro leader. Il direttore Mancia ha ragione da vendere quando dice che l’elettorato di centrodestra è già un popolo unito, che sovente non comprende i distinguo dei vertici e chiede da anni un solo contenitore politico, composto sì da sfumature diverse, ma capace di remare in una sola direzione.

Il sempre ottimo Claudio Romiti pone l’accento sul liberalismo, e fa assai bene. Il centrodestra, proprio per essere vera alternativa al dirigismo giallorosso, non può ignorare il tema della libertà, sociale ed economica, sempre bistrattato in questo Paese. Guai però ad essere, per così dire, liberali della domenica, con qualche proposta buttata qua e là senza seguito e senza convinzione, come è talvolta capitato in epoca berlusconiana. Dice bene Romiti, occorre usare il linguaggio della verità e dire agli italiani che questa nazione ha estremo bisogno di una liberalizzazione diffusa, ma che essa, a causa di un cronico paternalismo cattolico e comunista che ha annichilito per decenni le potenzialità dell’Italia, potrebbe rivelarsi dolorosa per quei “garantiti” abituatisi a vivere di assistenzialismo. Senza inseguire avventure e salti nel buio, rimane giusta la richiesta di una Europa diversa, perché l’attuale, è sotto gli occhi di tutti, ha fallito e continua a fallire, dalla crisi economica del 2008, in cui alcuni membri Ue si sono salvati a discapito di altri, al tema odierno dei vaccini.

In conclusione, il sovranismo. Se per esso si intende un ritorno ai nazionalismi e sciovinismi già visti nel Novecento, allora è meglio dimenticare questo termine. Ma se con il cosiddetto sovranismo si persegue una globalizzazione fra concorrenti leali, voluta peraltro da Donald Trump, e si cerca di limitare le scorrettezze di una realtà come quella cinese, allora non diventa anti-storico per i liberali e i conservatori definirsi anche sovranisti.

Aggiornato il 09 aprile 2021 alle ore 09:33