Pinuccio Tatarella, come del resto gli capitava molto spesso, aveva ragione da vendere quando affermava che esisteva un immenso bacino elettorale – che non si riconosceva nella sinistra – e che fosse giunto il momento di pensare in grande, puntando alla maggioranza del Paese. Era la fine degli anni Novanta quando il compianto Pinuccio lanciava l’operazione “oltre il Polo”, chiedendo all’allora Polo delle Libertà di mettere da parte ogni divisione, facendo sintesi e dando una casa a chi non si riconosceva nel progressismo post-comunista.

Lo sfortunato leader missino non fece in tempo a vedere concretizzata la sua intuizione incarnata nel Popolo delle Libertà che, infatti, spadroneggiò elettoralmente contro una sinistra che aveva dalla sua tutta l’informazione, la magistratura oltre a pezzi importanti dell’apparato statale. L’operazione Pdl andò in porto perché il momento storico era quello giusto: i rapporti di forza vedevano un partito liberale e di massa (Forza Italia) come soggetto egemone della coalizione, una destra forte e un centro post-democristiano di dimensioni più contenute. Inoltre, il compito di federare la coalizione spettò ad un leader molto popolare e fortemente post ideologico, che non aveva da fare i conti con una propria storia politica personale. Le cose sarebbero andate a meraviglia, se non si fosse messo di traverso Gianfranco Fini con le sue incomprensibili paturnie.

Oggi le condizioni sono molto diverse ma la chiave del successo sta sempre nella stessa parola d’ordine: sintesi. Se il centrodestra non comprenderà che bisognerà, prima o poi, fare sintesi potrà anche vincere le elezioni, ma non sarà in grado di governare. Sintesi non coincide con fusione a freddo, ma con omogeneizzazione delle proprie istanze. Chi, ad esempio, vorrà un rassemblement liberista in economia, non si scontrerà solo con chi rappresenta la parte più sociale della coalizione ma rischierà di non puntare a quella maggioranza di tatarelliana memoria dentro cui c’è tutto, dal liberista allo statalista.

Per questo – sempre a puro titolo di esempio – la sintesi risiederà nell’economia sociale di mercato, così come le istanze più cattoliche e conservatrici del raggruppamento dovranno evitare di puntare i piedi, lasciando che intere fette della società siano cedute al monopolio della sinistra con le proprie idee bizzarre. Se la sintesi non dovesse sfociare in un soggetto laico, che innesta sulla tradizione cattolica e patriottica un germe di pannelliana follia, ancora una volta la coperta sarà inevitabilmente troppo corta, per puntare alla maggioranza schiacciante degli italiani.

Qualora l’operazione di sintesi tra le prime donne che spadroneggiano nel centrodestra odierno dovesse riuscire, i problemi veri si presenterebbero subito dopo: ovviamente, con il centrodestra al governo, ci sarebbe un nuovo Giorgio Napolitano pronto a sabotare, una magistratura pronta ad aprire un fascicolo al giorno e un risveglio del giornalismo di propaganda oggi dormiente e domani iperattivo. Il primo vero problema si chiama competenza ed onestà: un centrodestra che ambisca a governare per molto tempo deve fare incetta di persone competenti e deve tassativamente allontanare nani, ballerine, nipoti di Hosni Mubarak e affaristi. Solo così si potranno spuntare le armi al nemico.

Ma non è abbastanza: il vero problema, oggi, è la totale assenza di un federatore popolare, autorevole, competente. Questo problema è lampante, a meno che non si pensi per assurdo di richiamare in servizio il vecchio Silvio o di affidare il compito a Matteo Salvini e Giorgia Meloni i quali, con tutta la buona volontà, non sono ancora pronti (o forse mai lo saranno) per un compito simile. Aggiungiamo l’ultimo tassello, allora: visti i tempi stretti e visto il personale politico a disposizione, la destra che verrà non potrà prescindere da quello che si suole definire “Il Papa straniero”.

Aggiornato il 02 aprile 2021 alle ore 10:17