Centrini e merletti: politica in sartoria

martedì 30 marzo 2021


Che cosa è la… Destra? Esiste un… Centro, o sopravvivono tanti “centrini”? Peccato che non ci sia più Giorgio Gaber ad aiutarci per trovare una risposta non banale all’interrogativo posto da questo giornale e dal suo Direttore, in particolare. Per un cambio radicale di prospettiva, fin da subito bisognerebbe rimuovere quella sorta di… codice della strada destra/sinistra con i relativi diritti di precedenza, da sostituire con i principi più concreti e meno incerti del movimento dei Conservatori, difensori della tradizione e dei valori tradizionali, in alternativa a quello dei Laburisti che si sono dati la missione storica della difesa dei diritti del mondo del lavoro e del miglioramento della condizione operaia, al fine di umanizzare un sistema della produzione di beni tayloristico e orientato a massimizzare i redditi da capitale, senza tenere in alcun conto la condizione dei lavoratori.

È la loro attualizzazione la risposta da dare all’interrogativo iniziale. Ovvero, conservare vuol dire tesaurizzare le cose migliori del passato e fare lo stesso, con eguale entusiasmo, per quelle che si consolideranno nel futuro come valori condivisi di una società matura. Dall’altra parte, simmetricamente, il socialismo, avendo perduto molti, troppi dei significati che ebbe nel passato (oggi non si può più parlare né di proletariato, né di operaio-massa), deve prendere atto che quel suo Soggetto di riferimento si è completamente trasfigurato nel corso degli ultimi settanta anni, defluendo addirittura nella classe media per livelli di reddito e di istruzione.

Oggi, infatti, è molto più appropriato proporre a quell’enorme bacino del lavoro contrattualizzato il nuovo conio di socialismo liberale, che unisce il meglio degli ideali del Sol dell’Avvenire e dei cristiano-liberali eredi dell’impero disciolto della Democrazia Cristiana. Ma, questo aggiornamento delle possibili definizioni “che cosa deve intendersi per Destra e Sinistra” (e loro innumerevoli sovrapposizioni in overlapping) non dice assolutamente nulla a proposito dei loro nuovi contenuti, tenuto conto che tra i due contenitori di politica attiva esistono margini dialettici a geometria variabile.

Per procedere a colmare questo importantissimo iatus, occorre alzare molto in alto la palla e schiacciarla a terra prima che si formi il muro di sbarramento che ne contrasti l’azione vincente. Per iniziare: lo Statalismo (intervento dello Stato nell’economia, nel lavoro, nel welfare) è cosa buona, o no? Non è, forse, alla gestione dissennata della sua burocrazia che si deve la sistematica distruzione di ricchezza, che provoca una forte stagnazione del Pil e impedisce alle risorse sane di questo Paese di dare il meglio di se stesse, fin quando non le si liberi dalla presa mortale del Leviatano?

Vale la pena, volando alto, di provare a segnare un punto iniziale. Potrebbe rappresentare un primo pilastro del neo-socialismo liberale l’affermazione politica di un nuovissimo concetto, per cui si dice che “lo Stato siamo Noi!”. Nel senso che, dopo aver equiparato in primis il lavoro pubblico con quello privato, si postula la creazione di un mercato aperto per i servizi pubblici essenziali, scuola e sanità in particolare, proibendo allo Stato di intervenire in materia con sue gestioni dirette. In tal senso, il suo ruolo si limiterebbe alla redistribuzione e perequazione verso il basso dell'enorme bilancio statale annuale, destinato alla fornitura dei servizi di base al cittadino.

Lo schema è, in fondo, semplicissimo: lo Stato mette i soldi (rastrellati con la fiscalità generale) in tasca al cittadino, accreditandoli direttamente, in base al reddito, su di una global service card per cui l’utente paga a prezzi di mercato servizi scolastici e sanitari di cui ha bisogno, premiando così con la sua customer satisfaction (che, poi, è spesa reale e quindi oggettiva) gli stabilimenti più performanti. Poiché è assurdo che a parità di professionalità e di mansioni svolte ci sia una divisione tra garantiti a vita e non, l’equiparazione può avvenire in modo lineare, dando in comodato gratuito agli attuali dipendenti pubblici strutture, beni strumentali e quanto altro in esse contenute. Da lì in poi, la relativa gestione ha carattere diretto e si realizza attraverso forme cooperative e consociative, in cui gli ex addetti diventano soci e azionisti delle nuove aziende. Questi ultimi, per quanto riguarda l’innovazione e lo sviluppo delle relative attività di interesse pubblico (come lo sono la scuola e la sanità garantite dalla Costituzione), si avvalgono di un accesso privilegiato a un Fondo di investimenti garantito dallo Stato. Il secondo pilastro politico riguarda l’organizzazione del lavoro e il superamento della visione capitalista sul valore aggiunto della produzione. La rivoluzione concettuale parte dal seguente assunto, che supera e attualizza il concetto di corporazione.

Un pensiero alto (il secondo pilastro del liberal-socialismo) è di immaginare il letterale ribaltamento del rapporto tra lavoro e capitale, facendo leva sul concetto di azionariato popolare. Il ragionamento è il seguente, partendo a titolo esemplificativo da una grande categoria come quella dei metalmeccanici che vanta milioni di addetti. Ora, si immagini che questo collettivo di persone, invece di rappresentare singole particelle, si muova a tutti gli effetti come una massa compatta economico-finanziaria, versando in un Fondo comune di investimenti una quota pro-capite di uno o due migliaia di euro/anno. In pochissimo tempo, si formerebbe una massa critica finanziaria tale da consentire alla neo-corporazione di costituirsi in una vera Holding, in grado di avere proprie banche private, una centrale di acquisto e salvataggio di attività industriali dismesse dal capitale, per perdita di profitto o cessazione delle attività, in modo da finanziare la rivoluzione della piramide invertita. Ovvero: gli ex dipendenti, che hanno perduto il lavoro, ricevono dal Fondo prestiti agevolati per gli investimenti e il rilancio di attività produttive (quelle precedenti o altre alternative, proposte da consulenti qualificati convenzionati con la Holding), divenendo perciò proprietari della ricchezza futura da loro stessi prodotta.

Tra l’altro, questo sistema neo-corporativo potrebbe perfettamente convivere con quello esistente a capitalismo avanzato, facendo a meno dell'assistenza dello Stato, divenuta obsoleta e inessenziale. In conclusione: i nuovi contenitori politici, qualunque essi siano, debbono avere contenuti fortemente innovativi e sostenibili al tempo stesso, in base a un radicale, pacifico rinnovamento della società del lavoro italiana e mondiale. Terzo e ultimo pilastro: l’unicità di comando. Occorre guardare alla Quinta Repubblica francese e al gollismo, per poi impostare politicamente una battaglia di modernizzazione della Costituzione del 1948 con il ridisegno di una Balance-of-power all’altezza delle sfide contemporanee, come il presidenzialismo e la fine dell’assemblearismo. Non si potrebbe volare alto e convocare un Congresso costituente del liberal-socialismo?


di Maurizio Guaitoli