I primi passi falsi di Mario Draghi

Nonostante il suo Governo sia caratterizzato dalla base parlamentare più ampia della storia repubblicana, come è giusto che sia in un Governo di larghe intese, sono comunque tantissimi gli italiani rimasti molto delusi dai primi passi compiuti dal nuovo premier Mario Draghi, a partire dalla scelta della squadra di Governo composta da alcuni elementi che potrebbero essere considerati “di alto profilo” unicamente nel mondo della satira.

“Un Governo senza speranza nonostante Roberto Speranza”, lo ha puntualmente apostrofato il senatore Vittorio Sgarbi che è andato diretto al cuore del problema, aggiungendo anche che “Draghi ha perso un’occasione storica”. In effetti, accanto alla discutibile conferma di alcuni ministri la cui azione è stata palesemente insoddisfacente nel precedente Governo guidato da Giuseppe Conte in carica fino a pochi giorni fa, Mario Draghi ha nominato tra i suoi ministri alcune figure che non hanno nulla a che vedere con quelle personalità di alto profilo che era lecito aspettarsi dal “Governo dei migliori”. Anzi, a descrivere nel dettaglio i curricula di alcuni neo-ministri, si finirebbe con il violare inevitabilmente il codice penale.

Comunque, non mancano le note liete. Infatti, scorrendo la lista nomi dei ministri, è agevole cogliere come Draghi abbia avocato a sé la gestione diretta delle materie economiche mettendo al ministero dell’Economia un tecnico di sua fiducia, Daniele Franco, una sicura figura di garanzia, in quanto direttore generale della Banca d’Italia fino a pochi giorni fa ed anche con la pregressa importante esperienza di ragioniere generale dello Stato. Poiché Mario Draghi è stato messo lì anche per spendere al meglio il “Recovery fund”, cioè, il prestito oneroso da oltre 200 miliardi di euro concesso all’Italia dall’Unione europea per facilitare la ripresa economica post Covid-19, per questo ha nominato un’altra figura degnissima come Enrico Giovannini al vertice del ministero delle Infrastrutture, dicastero chiave per far ripartire velocemente le grandi opere attraverso i decreti “sblocca cantieri”.

Non è una cattiva notizia nemmeno la nomina di Giancarlo Giorgetti al ministero dello Sviluppo economico perché si tratta di un politico dotato di competenze tecniche e di buone capacità relazionali nella Lega, di cui ha anche lamentato l’isolamento rispetto ai tavoli che contano nell’Unione europea per poter puntare seriamente a governare l’Italia. Qualche dubbio suscita un altro tecnico scelto da Draghi, cioè Vittorio Colao, nominato ministro dell’Innovazione forse soprattutto perché porta con sé in “dotazione” i suoi stretti rapporti con Bill Gates, che non guastano mai, soprattutto per fronteggiare una pandemia misteriosamente preannunciata proprio dal filantropo di Seattle circa sei anni fa. Forse è anche per questo motivo che, un anno fa, Vittorio Colao fu nominato da Giuseppe Conte a capo della fallimentare task force che avrebbe dovuto, da Londra, condurre l’Italia dalla “fase uno” alla “fase due” senza aver mai messo piede in Italia né in “fase uno” né in “fase due”. La relazione di Colao non è servita a nulla, per cui il suo ripescaggio è abbastanza sorprendente.

Con riferimento all’area geografica di provenienza della compagine ministeriale, la curiosità è che il 75 per cento dei ministri proviene dal Nord Italia, nonostante i “cervelli” del Sud Italia non abbiano notoriamente nulla da invidiare a quelli del Nord, anche se si tratta di questioni marginali. Ma, ad ulteriore conferma che qualcosa non ha funzionato a dovere, anche l’elenco nominativo dei sottosegretari di Stato annovera tra le proprie fila alcuni personaggi, che nessuno si sarebbe mai aspettato di rivedere seriamente all’opera per far ripartire velocemente il Paese. La ripartizione nella scelta di ministri e sottosegretari è stata fatta su base rigorosamente partitica anche se, secondo alcuni qualificati opinionisti, la nomina dei ministri sarebbe il frutto del solo confronto tra il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ed il nuovo premier Draghi, come peraltro prevede espressamente la Costituzione che esclude la partecipazione dei partiti alla nomina dei ministri. Viceversa, la nomina dei sottosegretari ha cercato di accontentare i desiderata dei partiti che sostengono la coalizione. Nonostante il diverso iter che ha condotto alle nomine, alcune scelte lasciano ampie riserve ed una profonda delusione.

Coerentemente a tutto questo, il fondamentale ministero del Lavoro è stato affidato al vicesegretario del Partito democratico, Andrea Orlando, un senza laurea come Luigi Di Maio, ma con precedenti esperienze da ministro della Giustizia nei governi di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, dove si era distinto anche per aver affidato le poltrone chiave del dicastero a diverse toghe iscritte a Magistratura Democratica, contribuendo ad alimentare la confusione sui rapporti tra i vertici del Pd ed i vertici di Md. Puntualmente, appena nominato ministro del Lavoro, ha subito nominato a capo gabinetto il magistrato Elisabetta Cesqui, uno dei leader storici della corrente di Md, come se non fosse accaduto nulla negli ultimi mesi in cui il rapporto tra politica e magistratura è stato al centro di feroci polemiche grazie alla triste vicenda umana e professionale che ha interessato il magistrato Luca Palamara. Dal canto suo, il Consiglio superiore della magistratura ha autorizzato la nomina senza battere ciglio ed ha così aderito a modo suo, ovviamente, al Governo di larghe intese, dando l’ok alla nomina della Cesqui ma dimostrando, quantomeno, una certa mancanza di sensibilità istituzionale.

Come detto, Mario Draghi è stato chiamato a guidare il Paese essenzialmente per spendere il “Recovery fund”, ma si gioca la sua partita anche sul fronte interno della lotta alla pandemia. Quindi, dovrà misurarsi sia con i ritardi della campagna di vaccinazione e sia con l’adozione di misure per prevenire la terza ondata, evitare un nuovo lockdown e far ripartire velocemente l’economia. Su questo ultimo punto, un primo passo falso è stato aver bloccato la riapertura del turismo della montagna con un provvedimento adottato solo a poche ore da una riapertura già programmata da mesi, che ricordato i metodi del Governo Conte II, forse anche perché il ministro della Sanità è rimasto purtroppo lo stesso. Inoltre, con riferimento ai ritardi della campagna di vaccinazione, va osservato che i ritardi nazionali accusati dal precedente Governo dipendono anche da ritardi dell’Unione europea. In proposito, sorge spontaneo chiedersi come mai la Commissione europea abbia firmato un contratto, non pubblico, con la società “Astrazeneca” per distribuire il vaccino in tutta Europa scegliendo, come controparte, un’azienda che non aveva mai prodotto vaccini nella sua pregressa storia imprenditoriale. Quindi, non può sorprendere che l’azienda sia in grave ritardo. Ma la cosa davvero incredibile è che la Commissione europea ha addirittura “garantito” alla controparte contrattuale il possibile inadempimento nelle forniture obbligando l’azienda, da contratto, non già a garantire la distribuzione del numero esatto dei vaccini già pagati dall’Ue, ma semplicemente il “massimo sforzo possibile” perché ciò accada. Una situazione paradossale, che fa sembrare che alcune decisioni siano irrazionali e paragonabili ad un salto nel vuoto.

Anche il grande filosofo danese Soren Kierkegaard, il padre dell’Esistenzialismo, ha insegnato che “non c’è nulla che spaventi di più l’uomo, che prendere coscienza dell’immensità di cosa egli è capace di fare”. In questo senso, secondo Kierkegaard, abbandonarsi alla fede non è un percorso graduale, ma è un salto nell’irrazionale che l’uomo compie per creare un rapporto privilegiato con Dio. Accedendo alla fede, l’uomo decide di abbandonare ogni comprensione razionale accettando anche l’assurdo. Questo è il “paradosso della fede”, che è genuina proprio perché supera il limite della comprensibilità umana.

Aggiornato il 02 marzo 2021 alle ore 10:23