Draghi sostituisce Arcuri con un generale

martedì 2 marzo 2021


Lo stile Mario Draghi comincia a delinearsi e lo si può cogliere particolarmente nella successione del discusso commissario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri. I partiti, specialmente Lega e Fratelli d’Italia, avevano chiesto la sua testa come segno di discontinuità. Nel dibattito sulla fiducia alla Camera, Giorgia Meloni era stata esplicita, citando un elenco di errori e di operazioni azzardate. Mario Draghi, nonostante l’incalzare delle opposizioni, non aveva battuto ciglio. Apparentemente imperturbabile, come una sfinge. Neppure i giorni seguenti erano filtrate indiscrezioni, anche se Matteo Salvini si era lasciato sfuggire di aver trovato il premier tutt’altro che soddisfatto sulle vaccinazioni, ma non si erano fatti nomi.

Tutto qui: nessun retroscena, nessuna battaglia sui social, niente polemiche sui media fino a che, da Palazzo Chigi, è arrivata la notizia bomba. Con un comunicato molto formale, il presidente del Consiglio ha espresso a Domenico Arcuri i ringraziamenti del Governo “per l’impegno e lo spirito di dedizione con cui ha svolto il compito a lui affidato in un momento di particolare emergenza per il Paese”. E quindi ha fatto il nome del successore: Francesco Paolo Figliuolo, generale di Corpo d’Armata, un alpino. Mi sia concessa una ironica digressione personale, per dire che quando ho letto il nome del nuovo commissario ho pensato che le mie conversazioni telefoniche fossero “ascoltate”. Perché, leggendo le critiche dei partiti, il solito clima rovente, l’astio di alcuni leader e riflettendo sui gravissimi ritardi nelle vaccinazioni, ero sbottata: “Ma qui ci vuole un generale!”. Evidentemente, non lo pensavo solo io, ma lo Stato italiano stava meditando di affidare la delicatissima e ingarbugliata questione a personaggi del tutto diversi dai manager in prestito dai partiti e Arcuri era stato un regaluccio del Partito Democratico. Con l’arrivo di Draghi, silenziosamente, stanno prendendo posto super tecnici.

Il taglio netto si era avvertito con l’avvicendamento tanto felpato quanto fulmineo ai vertici della Protezione civile, dove il neo-premier ha nominato Fabrizio Curcio al posto di Angelo Borrelli. Anche Curcio è uomo di comando: già a capo del Dipartimento della Protezione civile dal 2015 al 2017, dove era entrato chiamato da Guido Bertolaso, ha gestito l’Ufficio gestione emergenze, ed è rimasto anche con la direzione di Franco Gabrielli, l’ex capo della Polizia neo-nominato sottosegretario con la delega per i Servizi segreti. Dunque, vediamo: il generale alpino, il prefetto e il tecnico delle emergenze. Ecco la triangolazione di Draghi e la risposta, nei fatti, a chi lamentava scarsi segnali di incisività. Forse dovremmo pensare non solo a una discontinuità voluta dal presidente del Consiglio, ma anche all’operazione silenziosa quanto efficace del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che è lecito ritenere lavori dietro le quinte per stroncare le polemiche e mettere in sicurezza il Paese.

Il curriculum del generale Francesco Paolo Figliuolo è di tutto rango: originario di Potenza, classe 1961, sposato, con due figli, è dal novembre 2018 comandante logistico dell’Esercito. Ha ricoperto molteplici incarichi: è stato Capo ufficio generale del capo di Stato maggiore della Difesa, comandante del contingente nazionale in Afghanistan, nell’ambito dell’Operazione Isaf (International security assistance force) e come comandante delle forze Nato in Kosovo. Venivano dal suo comando i camion per le bare di Bergamo e sono stati i suoi uffici ad allestire gli spazi per gli italiani di rientro da Wuhan. “Un uomo tosto e sodo”, lo ha definito a “Quarta RepubblicaGuido Bertolaso.

Immediata la soddisfazione del centrodestra. Matteo Salvini e Giorgia Meloni si sono detti “entusiasti” per la scelta con vanto patriottico e d’accordo si è espresso anche Matteo Renzi. Dal fronte della sinistra, invece, no comment. È del tutto raro che nomine di grado militare siano vissute come una boccata d’ossigeno e un segnale di fiducia rispetto alla impreparazione e litigiosità dei partiti. Avendo investito Mario Draghi del titolo di “super”, non resta che lasciarlo comandare.


di Donatella Papi