La trappola di Super Mario

Nulla è scontato e il super governo non è neppure iniziato. Il calendario è il seguente: Mario Draghi terrà mercoledì mattina il suo discorso programmatico nell’aula del Senato, novanta minuti dopo consegnerà il testo alla Camera, quindi tornerà a Palazzo Madama per ricevere la fiducia e giovedì replicherà a Montecitorio. Siamo dunque alle primissime battute del cerimoniale e soprattutto ancora non conosciamo il programma strutturale che l’ex presidente della Banca centrale europea (Bce) proporrà ai voti del Parlamento per salvare l’Italia. La fiducia, insomma, ancora non c’è. Gli osservatori danno per scontato che ci sarà e che sarà pure a larga maggioranza, ma nei partiti si registrano ancora dubbi, incertezze e non mancano fibrillazioni. Vittorio Feltri dalle colonne di Libero ha già avvertito: “È una maggioranza di cani e porci, difficile convivere e guidare certe bestie”. Non meno esplicita è stata Lucia Annunziata commentando la lista dei neo-ministri: “Sono come i cani di muta della caccia che si sono ribellati contro il padrone. È arrivato un signore che li deve mettere in fila, ma i cani hanno una tendenza a ribellarsi”.

Non sappiamo una parola, anzi un fiato, di cosa pensi Super Mario. Conosciamo indiscrezioni, deduciamo dal suo pensiero, interpretiamo le recenti nomine siglate dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: 8 tecnici e 15 politici, un cocktail di esperti e di espressioni dei partiti per garantire l’equilibrio per l’unità. L’obbiettivo non è solo far ripartire il Paese, ma anche riquadrare la classe politica. Tuttavia, cosa voglia veramente fare Mario Draghi e come intenda farlo nessuno ancora lo sa, perché più che “buongiorno” e “grazie” non l’ha detto. E io non ci giurerei che la compagina di Governo che ha presentato sia tutta “la sua squadra”. Non solo perché, come già ringhiano da Fratelli d’Italia, definire i neo-titolari “i migliori” è difficile da sostenere, essendo alcuni già facenti parte della catastrofica schiera dell’ultimo esecutivo Giuseppe Conte-Rocco Casalino appena caduto. A cominciare dalla ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, che proprio non si comprende quali argomenti possano aver convinto Mattarella e l’incaricato alla riconferma, dopo i picchi impressionanti di dis-ordine pubblico e soprattutto le falle nel sistema degli sbarchi. Oltretutto, in quella posizione il capo del Governo, se vuole fare bene e camminare speditamente, ha bisogno di una stra-eccellenza, che lisci come con l’olio la macchina della sicurezza, perché se deve essere lui ad occuparsene salta tutto il piano vaccini, la riscrittura del Recovery plan, la riapertura delle scuole, gli interventi sul lavoro e sui sostegni economici, nonché il grande capitolo delle innovazioni.

Stesso dicasi per il ministro della Sanità di Liberi e Uguali, Roberto Speranza, che ha sin qui gestito l’emergenza tra polemiche arrivate al colmo. E non voglio pensare cosa accadrà se Draghi dovesse riconfermare il commissario Domenico Arcuri con il virus che s’impenna, l’Umbria come Bergamo, l’età contagiabile scesa ai bambini delle primarie. D’altro canto, l’ho scritto sin dal primo giorno che l’osanna corale era una trappola. Più si fa salire un personaggio e lo si ricopre di appellativi, più è facile schiantarlo al primo intoppo. Infatti, Paolo Mieli, ospite su Raitre a “Cartabianca” da Bianca Berlinguer, si è rifiutato di partecipare al gaudium magnum per l’uomo della salvezza, annusando la polpetta avvelenata. Io non sono così certa che per Mario Draghi andrà tutto liscio. E di magagne ne ha davanti parecchie, a cominciare dalle nomine dei sottosegretari, che un’assurda teoria vorrebbe tutte donne perché nelle prime linee non ce ne sarebbero abbastanza e abbastanza autorevoli, svuotando così la designazione alla Giustizia di Marta Cartabia, ex presidente della Corte Costituzionale, e riducendo le altre designazioni femminili a comprimarie. Non so come si faccia in un clima come quello attuale a tirare fuori, come hanno fatto le donne del Partito Democratico, la questione delle quote rosa. Secondo le sinistre si dovrebbero nominare “ministre” senza specifiche competenze per l’invalsa logica che basta mettere donne sulle poltrone per avere un governo forte. Ma stanno giocando?

Povero Mario Draghi, fossi in lui scapperei su un’isola deserta. Un’altra delusione riguarda il ministero della Cultura, da cui è stato scorporato il Turismo, per il quale è stato riconfermato l’ex Margherita Dario Franceschini. Se doveva rappresentare il segno di una squadra nuova, il dicastero andava affidato a un “magnifico tecnico”. Si è fatto l’esempio di Riccardo Muti, come per la Sanità si poteva finalmente puntare su Guido Bertolaso, ex capo della Protezione civile. L’anima della discontinuità c’è con i due dicasteri per la Transizione ecologica, affidato al fisico Roberto Cingolani, e per l’Innovazione tecnologica, andato a Vittorio Colao. Scelte subito appannate da un salto all’indietro col neo-dicastero per la Disabilità (sarà guidato da Erika Stefani). Ma come, si dice che usare la definizione “disabile” sia perfino scorretto e che il diktat fosse tagliare! E ora a quando un ministero per il “gender” e per l’anti-sessimo? Poi, a un disabile serve più di tutto un Pil (Prodotto interno lordo) forte, una buona sanità, servizi efficienti. Ma soprattutto alla disabilità servono come il pane il digitale e la tecnologia, perché con il digitale e con l’innovazione tecnologica un cieco può come vedere, un portatore di handicap può come correre e i disabili gravi potrebbero vivere senza disparità. Sapete cosa penso? Che il ministro veramente scelto da Mario Draghi sia uno: l’amico Vittorio Colao, numero uno nelle reti informatiche ed ex numero uno di Vodafone, il manager per eccellenza e sicuramente un “migliore”, che Giuseppe Conte aveva chiamato a dirigere la task force e che se ne era andato, a causa della partitocrazia, come “un signor nessuno”.

Aggiornato il 16 febbraio 2021 alle ore 13:36