Calenda re di Roma?

Confessioni”, il bel programma di Peter Gomez che va in onda su Nove – bello perché garbato, pulito, rilassato e non eccessivamente di parte – qualche giorno fa ha ospitato il leader di “Azione”, Carlo Calenda, candidato in pectore a sindaco di Roma. Il format del programma prevede che l’ospite si racconti al conduttore, e quindi al pubblico, in una mezz’ora di chiacchierata e alla fine esprima una specie di claim, un messaggio su un argomento più o meno dato, o più o meno concordato. E infatti Calenda si racconta, con tono pacato ma fermo di chi da ragazzino scapestrato, come lui stesso si è definito, ha messo la testa a posto. Si parla un po’ di tutto, dalla legalizzazione della marijuana – che lancia l’apparentamento ai radicali di +Europa – del nonno regista e i genitori militanti di Lotta continua, della casa al Quartiere Africano e non ai Parioli, dove lo vogliono invece incasellare i detrattori e di altri argomenti sconosciuti al grande pubblico. Ad esempio, in pochi sanno che la madre è di confessione valdese, cosa che si ripercuote sulla vita giovanile del nostro sotto forma di una certa austerità, che la moglie Violante ha combattuto una lunga battaglia contro la leucemia e il cancro al seno, argomento che affronta con la dolcezza di uno dei pochi mariti, stando alle statistiche – anche della codardia – che rimangono accanto alla loro compagna quando si ammala. E poi tre figli più uno in giovane età: non abbiamo capito bene la sottolineatura sul fatto che la donna con la quale lo ha concepito era molto più grande di lui (all’epoca solo sedici anni) come un fosse un gossip, quando in realtà nel 2021 di queste pruderie non importa più molto a nessuno.

Si parla anche, inevitabilmente, di politica, dei navigator “scappati di casa”, dei tweet un po’ da bar – come se uno non potesse utilizzare i social come persona e non come sempre e solo personaggio istituzionale – della necessità irrimandabile di dare fiducia i giovani e della irrinunciabilità al fatto che, chi va a gestire, debba avere esperienza gestionale e amministrativa. Insomma, ci è piaciuto tanto tutto, tranne una cosa: nel descrivere l’esperienza alla Ferrari di Luca di Montezemolo dove entrò come stagista. E cioè aver dichiarato una mezza corbelleria, ovvero di aver avuto un’opportunità di lavorare con Montezemolo da una conoscenza “come spesso accade”. Ecco, veda Calenda, non è “come spesso accade” è come sempre (!) accade, e non c’è niente di male che accada. Non c’è niente di male che accada di essere presentati per un lavoro, per un incarico, per una qualsiasi opportunità da un amico o da un estimatore, un parente, un compagno di scuola, nel momento in cui non vi sia concussione, corruzione, ricatto, benefit ottenuti con soldi pubblici. Meno che mai in caso di opportunità in imprese private.

Questa linea di pensiero populista da uno che si dichiara anti-populista non è coerente, non è realistica sulla realtà del sistema nel quale tutti noi viviamo da decenni e cozza con la sua volontà di dare opportunità ai giovani. Questa vecchia storia della “raccomandazione” come male assoluto è ora di farla finire, ma semplicemente per il fatto che se qualcuno non ti dà un’opportunità tramite una presentazione o conoscenza, in Italia non si lavora, non lavorerebbe più nessuno. Perché lei forse non lo sa, ma di trenta, cinquanta, cento annunci di offerte di lavoro a cui rispondi e curriculum che mandi non ti si fila mai, e dico mai, nessuno. Nemmeno ti rispondono. Soprattutto per alcune professioni più specializzate. E la presentazione o l’amicizia di ferro è la norma per entrare politica, in primis. Meritocrazia a parte, chi raccomanda una persona valida non compie solo un gesto di amicizia, di rispetto e di considerazione ma fa anche un favore al datore di lavoro. Quand’anche il segnalato, l’amico, il parente raccomandato fosse un povero inetto, rimane la nobiltà del gesto fine a se stesso. Quindi si scrolli di dosso la morale buonista da libro “Cuore”, la cappa ideologica dei duri e puri, quando fa comodo, del Mamiani e il complesso del pariolino che non è. E proponga una visione pratica, realistica e realista, come lei sembrerebbe concepire. Se vuole fare il re di Roma e vincere, le banalità e le stupidaggini le lasci agli altri, che ne sono già pieni fino all’orlo.

Aggiornato il 02 febbraio 2021 alle ore 09:29