E hanno il coraggio di chiamarlo “stato di diritto”...

sabato 21 novembre 2020


La questione ruota intorno a quale Europa vogliamo. Se si vuole l’Europa a predominanza tedesca, c’è già: è quella che stiamo vivendo. Se vogliamo l’Europa franco-tedesca, cioè in cui sono preminenti e prevalenti Francia e Germania sopra tutti gli altri Stati membri, ci siamo. Se vogliamo l’Europa con a capo alcuni Stati membri fondatori dell’originaria Unione europea – tra cui l’Italia – questo tipo di Europa unita si può ricostruire e gli ultimi “passaggi” potrebbero favorire questo percorso. Se si vuole l’Europa di tutti gli Stati membri oggi componenti – dunque anche quelli dell’est che più si sono arricchiti e avvantaggiati grazie ai Paesi membri più ricchi – come l’Italia – i modi esistono: ci sono quelli trasparenti, come il riunirsi e dare vita all’Europa di alcuni (tra cui l’Italia) e lasciare indietro altri (ad esempio i Paesi dell’est), o modi più brutali e meno formalmente “corretti”, facendo cioè in modo che ciò accada.

Personalmente sono e sono sempre stata per la riformulazione dell’attuale Europa franco-tedesca. Riformulazione cioè con una revisione delle regole e una rimodulazione dell’euro. Sono cioè per un’Europa di Stati membri che vogliono starci, non solo che trovino conveniente starci. Sono per l’Italia, il mio Paese, già fondatore originario, quale rifondatore, insieme ad altri Stati membri “che ci stanno”, cioè che si avvantaggino e trovino conveniente stare in Europa. Nella federazione degli Stati europei, non nella cancellazione delle diverse entità statuali, per intenderci. Non sono cioè per la camicia di forza, ma non sono neanche per i trucchetti e le porcherie ad excludendum senza darlo troppo a vedere.

Ad esempio, ciò che sta succedendo in questi giorni, non aiuta l’ideale europeo e l’Europa trasparente e unita che vogliamo. Utilizzare cioè mezzi poco trasparenti per letteralmente “incastrare” e scaricare Stati membri la cui presenza in Europa può benissimo essere ricontrattata, non mi piace. Sembra di assistere ad una estorsione con destrezza. Ecco cosa infatti sta succedendo, ed è successo.

Pochi giorni fa la Germania ha approfittato di avere la presidenza del Consiglio europeo per provare a far approvare il bilancio comunitario pluriennale secondo le proprie modalità e i parametri per cui è storicamente conosciuta e che la caratterizzano storicamente. L’accordo sul bilancio infatti, guarda caso, prevede e comprende l’introduzione automatica, per lo Stato membro richiedente, di una clausola di condizionalità che lega e subordina indissolubilmente l’accesso ai fondi comunitari ad un indefinito “stato di diritto”, tedescamente ideologicamente inteso. Guarda caso il suddetto meccanismo di condizionalità determina e giustifica la privazione e/o la sospensione dei fondi, non solo nei casi in cui le violazioni siano state “accertate” ma anche, guarda ancora il caso, dove solo ne “esista il rischio”.

Inutile dire che Ungheria e Polonia, e da pochi giorni anche la Slovenia, hanno avuto ragioni fondate nell’apporre il veto e nel non voler firmare un accordo disgraziato che avrebbe reso non solo loro, ma tutti noi cittadini europei, ancor più gli schiavi e i sudditi della attuale Europa franco-tedesca.

L’approvazione del bilancio europeo 2021-2027 – grazie a Polonia, Ungheria e Slovenia – è stata temporaneamente sospesa perché “questi Stati membri hanno espresso la loro opposizione rispetto ad un elemento – la condizionalità sullo stato di diritto – ma non sulla distanza dell’accordo di bilancio” ha riferito Sebastian Fischer, il portavoce della presidenza di turno (tedesca) europea. Per avviare la procedura di approvazione è necessaria l’unanimità degli Stati membri dell’Ue. Dopo la Brexit, sono adesso Polonia, Ungheria e Slovenia a reagire contro quello che, di fatto, è un vero e proprio ricatto ideologico-politico dell’Europa franco-tedesca.

L’Italia del non eletto Giuseppe Conte, di Sergio Mattarella, del Pd (che, con il solo sedici per cento di voti, non si sa come governa l’Italia), l’Italia sinistra che non fa votare gli italiani, è oggi d’accordo con la Germania europea. E tace. Guarda caso, invece, proprio quegli Stati che hanno conosciuto la più pesante realtà dittatoriale in cui l’ideologia ha imposto l’arbitrio e l’ingiustizia – cioè la Polonia, l’Ungheria e la Slovenia – pongono oggi il veto e respingono il meccanismo perverso tedesco-europeo che con il loro voto entrerebbe malauguratamente in funzione. Un meccanismo che subordina, lo si ripete, l’erogazione dei fondi e della liquidità – soldi di tutti noi – alla condizione dubbia di un malinteso “rispetto” di uno “stato di diritto”, che altro non è, nella realta dei fatti, pura discrezionalità ed effettiva arbitrarietà franco-tedesca. Si ricevono cioè i soldi europei sotto la condizione/ricatto stabilita e “interpretata” dall’attuale Europa tedesca o, meglio, pangermanica. Essa intende mantenere il controllo di tutti i Paesi membri, non solo dei denigrati cosiddetti Paesi “sovranisti” di Orbán o Jensa.

La lotta per una definizione della nuova Europa e dell’Ue è molto serrata. È impegnativa, dato che all’approvazione del bilancio è collegato il successivo Recovery Fund di aiuti per la pandemia per cifre pari a 750 miliardi di euro. Dunque viene da chiedersi come sia possibile che oggi, in piena pandemia, Polonia, Ungheria e Slovenia non vogliano gli aiuti economici come tutti noi. È ovvio che li vogliano. Ma non facendo passare la clausola che ci renderà tutti politicamente ideologicamente sotto scacco, e per le generazioni future. Cancellando, in sostanza, l’Europa.

Bisogna, come dicono a Napoli, stare “accorti”: il ricatto cui si collabora oggi l’Italia, alla prima occasione ci si ritorcerà contro. Siglato l’imbroglio oggi, rimarremo tutti sotto scacco in Europa. Il problema della condizionalità è vincolare i fondi Ue ad un dubbio rispetto di un oscuro “stato di diritto” germanico. Spieghiamo meglio.

Cosa si intende per “stato di diritto”? Ecco cosa ha detto lo sloveno Janez Jansa con una lunga lettera in cui ha affermato a gran voce che Viktor Orbán e Mateusz Morawiecki non hanno tutti i torti: “Solo un’istanza giudiziaria indipendente può dire cos’è lo stato di diritto, non una maggioranza politica. Si tratta di un tema estremamente delicato per molti Paesi, non solo per Polonia e Ungheria”. Molti governi “temono che il meccanismo che vincola l'erogazione dei fondi Ue al rispetto dello stato di diritto possa essere usato in modo arbitrario contro di loro. Perché non riconoscono l'imparzialità della Commissione europea”. La clausola sulla condizionalità e il suo significato sono “fluidi” e quindi influenzabili e soprattutto strumentalizzabili.

Nella missiva firmata dallo sloveno Jansa si legge anche: “Quelli di noi che hanno trascorso parte della nostra vita sotto regimi totalitari sanno che la deviazione dalla realtà inizia quando ai processi o alle istituzioni vengono dati nomi che significano l’esatto opposto della loro essenza”. Il primo ministro sloveno ha poi chiesto che il pacchetto sia approvato senza l’adozione di “meccanismi discrezionali basati non su un giudizio indipendente ma su criteri politicamente motivati”.

Germania e Francia, in realtà, ci hanno provato. Per “stato di diritto” essi infatti non intendono solo il significato di indipendenza e di integrità dei tre poteri statuali ordinamentali – cioè legislativo, esecutivo e giudiziario – in particolare quello giudiziario, ma intendono e intendono far valere, connivente il nostro Paese, anche lo stato di avanzamento di diritti civili e umani e il conformarsi ai dettami europei di parte sinistra per quanto riguarda tematiche come la cultura (cioè l’indottrinamento ideologico Pd in Italia) e l’immigrazione (cioè l’invasione dei migranti senza controllo, ong e terroristi inclusi).

Ecco perché è in corso il braccio di ferro tra i favorevoli al meccanismo di condizionalità – i dominatori tedeschi e francesi oggi in Europa – e i suoi detrattori, cioè i Paesi dell’Est, Varsavia, Budapest e via dicendo. La battaglia è politica. Infatti, con la proposta tedesca di condizionare l’accesso ai fondi europei al rispetto del fantomatico “stato di diritto” ideologicamente interpretato, Germania e Francia (con l’Italia dei “non votati”) vorrebbero far fuori l’alleanza di Visegrád. E in particolare Budapest e Varsavia, i “non allineati”. In seguito, calmate le acque, per altri motivi, potrebbero far fuori anche l’Italia con trucchi e imbrogli. Un po’ come nella dubbia vittoria di Joe Biden contro Donald Trump negli Stati Uniti d’America, dove hanno fatto votare i morti durante la notte ed escluso gli scrutatori repubblicani.

Polonia, Ungheria e Slovenia hanno a ragione chiesto l’introduzione di “criteri oggettivi - dello stato di diritto – e la possibilità di fare ricorso contro la privazione dei fondi”. Il primo ministro ungherese ha stigmatizzato - a ragione – come la decisione di attribuire un significato particolarmente fluido, e quindi strumentalizzabile, del concetto di stato di diritto spiani la strada al “ricatto con strumenti finanziari contro tutti i Paesi europei, ed in particolare contro i Paesi membri che si oppongono, ad esempio, all’immigrazione, controllata e non”. Polonia, Ungheria e Slovenia “sostengono ardentemente lo stato di diritto”, ma tale concetto può essere ampiamente utilizzato per perseguire fini politici e ideologici anziché meramente giuridici. Ed è proprio quello che l’attuale Europa sbagliata franco-tedesca vuole fare. L’Italia, il nostro Paese, deve andare a votare il prima possibile, in modo da non continuare a nascondersi dietro agli imbrogli dell’Europa franco-tedesca. Ma per stabilire nuove regole trasparenti in una nuova Europa.


di Francesca Romana Fantetti