Covidsmania, sorvegliare senza invadere

giovedì 15 ottobre 2020


La coda del Covid? Lunga. Lunghissima, a quanto pare. Allora, si ripropone la domanda lasciata in sospeso giorni fa: vista la bassa letalità e lo scarso affollamento delle terapie intensive attuali, si può ancora considerare il Covid molto più pericoloso di un’influenza ordinaria? Dipende. Soprattutto dal trend. Stocasticamente, infatti, bisognerebbe poter correttamente stimare la funzione di distribuzione delle variabili aleatorie in gioco e, comunque, “comprare tempo”, come si dice, per le valutazioni sul campo.

Intanto, come al solito in Italia, piovono provvedimenti governativi, nel tentativo disperato di tenere sotto controllo l’epidemia, tenuto conto che sono altri Paesi europei, stavolta, a fare da pesci pilota con i loro trend in crescita e il connesso rischio di saturazione delle rispettive terapie intensive. Quindi: (quasi) fermi tutti. Tuttavia, disposizioni troppo restrittive, corredate da sanzioni e controlli, presentano il doppio handicap di violare libertà costituzionali senza poterne dimostrare l’assoluta necessità e, in secondo luogo, di essere effettivamente in grado di far rispettare le sanzioni amministrative e pecuniarie, attraverso l’intensificazione dei relativi controlli. Verifiche che, però, in questo caso, dovrebbero addirittura invadere la stretta privacy di famiglie e cittadini, mettendo piede in casa loro senza un mandato del giudice, o favorendo lo sgradevole spionaggio di vicinato. Idem per quanto riguarda gli spostamenti urbani nelle medio-grandi aeree metropolitane e l’affollamento dei mezzi pubblici, che non può scendere alle quantità fisiologiche anti contagio che sarebbero necessarie, salvo a fare dei poveri autisti altrettanti ufficiali di polizia giudiziaria.

L’alternativa è provvedere al diradamento a bordo degli autobus, acquistando almeno il triplo dei mezzi pubblici al momento circolanti (a Roma, visti i continui guasti, non si sa bene quanti siano). In quest’ultimo caso, la controindicazione è chiarissima: dato che è comunque impossibile e insensato impedire la circolazione dei mezzi privati, qualora si triplicassero quelli pubblici, il traffico urbano (un pullman di linea ha una lunghezza almeno tre volte superiore a un'auto media) subirebbe inaccettabili blocchi e congestioni, fino alla paralisi delle principali vie e percorsi cittadini maggiormente frequentati. Né, in questo contesto, ha senso moltiplicare a geometria variabile il numero dei treni delle metropolitane, poiché non si possono superare i limiti fisici del distanziamento temporale minimo tra convogli successivi (massimo uno ogni tre minuti, per minimizzare il rischio di incidenti).

Che cosa rimane, quindi? Tanto, ma tanto e serio smart working per i lavoratori, ed e-learning per i più grandicelli. Nel primo caso, occorrerebbe investire notevoli risorse del futuro (se mai arriverà!) Recovery Fund, per attrezzare con assoluta urgenza in tutto il territorio nazionale l’aumento fisico di banda larga e larghissima per le video conference, adottando seriamente il modello evoluto di programmazione per obiettivi e risultati, ed evitando di regimare (come vorrebbero i sindacati di categoria) i metri quadrati di cui ciascun lavoratore remoto deve poter disporre per esercitare la sua attività. Nel secondo caso (e-learning) occorre dotare chi ne è sprovvisto dei necessari dispositivi e gigabyte minimi indispensabili, per usufruire delle lezioni a distanza. Cosa abbastanza più facile rispetto allo smart working, ben più complesso nella sua organizzazione globale.

Tertium? Beh, ad esempio, attrezzarci anche noi con un bel Surveillance State alla cinese, via smartphone. Codici Qr (quelli a barre bidimensionali a matrice) per entrare in qualunque posto, Gps costantemente attivo per il famoso tracing di tutti i nostri spostamenti. Tale sorveglianza potrebbe essere imposta se fossimo uno Stato autoritario (magari meglio non esserlo), oppure volitiva, nel senso che il cittadino, per il bene superiore della collettività, accetta volontariamente la filosofia delle “tre t”: testing-tracing-treating, cedendo temporaneamente tutti i suoi dati personali a un data-base nazionale a prova di hacker e che si estingue a tempo a fine emergenza, per fare ciò che fanno Taiwan, Corea del Nord e Singapore.

Per convincere la sua cittadinanza, però, lo Stato deve dimostrare la massima efficienza. Non si possono confinare contagiati e persone venute in contatto con loro per un tempo sufficientemente lungo e in base a una distanza verificata come non protetta, semplicemente chiudendoli in case già affollate, mancanti di aree compartimentabili (doppio bagno, camera singola, persone in grado di provvedere alle esigenze elementari di sopravvivenza del confinato) e di minimali misure di igiene. Uno Stato serio dovrebbe fare come i vituperati cinesi, separando in immobili o strutture alberghiere appositamente attrezzate i contagiati e le persone sospette da tenere in quarantena. Uno Stato efficiente deve poter dire ai suoi cittadini che i tamponi sono disponibili nell’immediato per gli interessati, e che per servirli esiste attorno a loro una rete densa di presidi mobili e fissi per i test e le diagnosi relative. Uno Stato efficiente deve poter garantire, soprattutto, che chi deve restare lontano dal lavoro sia coperto dall’assistenza pubblica per il tempo necessario, compreso un equo indennizzo ai loro datori di lavoro, sia per quanto riguarda il costo del rimpiazzo temporaneo, sia l’accesso agli strumenti di cassa integrazione guadagni. Uno Stato serio, this is the problem.


di Maurizio Guaitoli