Breviario di antropologia comunista

mercoledì 14 ottobre 2020


Il comunista è tanto ingenuo, quanto supponente. Presume molto di sé e dei suoi compagni di fede politica, mentre in realtà disconosce la dinamica elementare dello sviluppo cognitivo ed economico dell’uomo in seno al consorzio sociale. La sua prima ingenuità risiede nel rappresentarsi l’ordine della convivenza umana come ortogenetico e intenzionale. Il comunista, per ciò stesso che vuole indirizzare e raddrizzare il corso della storia, nutre fideistica fiducia nella capacità dell’uomo, sotto la specie dell’autorità politica, di conoscere e dominare l’interezza del “destino” dell’umanità su questa terra. In fondo, anche la temperatura atmosferica dipende dalle scelte politiche, come insegna la pargoletta Greta.

Il comunista è convinto che gli effetti intenzionali delle azioni umane esauriscano l’intera gamma degli effetti possibili; non ha letto Ludwig von Mises (“L’azione umana, Rubbettino Editore) e non tiene conto dell’eterogenesi dei fini. Egli conosce un solo nesso di causa ed effetto: alle intenzioni e ai programmi dell’autorità politica corrisponde il risultato sociale, voluto e programmato. La complessità del divenire sociale gli sfugge, poiché si rappresenta tutti i fenomeni osservati come effetti intenzionali e tutte le deliberazioni dell’autorità come cause intenzionali.  È ingenuo, perché non si avvede che l’azione umana, inserendosi nel contesto sociale, produce una serie infinita di effetti riflessi che sovrasta e distorce l'intenzione iniziale del soggetto agente. E tra gli effetti collaterali, non intenzionali, i più rilevanti e numerosi sono quelli “invisibili”, sprovvisti di evidenza fenomenica. Per esempio, si “salvano” i posti di lavoro dei minatori del Sulcis o dell’Alitalia, ma al contempo le risorse economiche vengono sottratte ad altri investimenti più redditizi; gli effetti di queste sottrazioni sono invisibili. In sintesi, il comunista ignora che l’ordine della convivenza umana non è ortogenetico, ossia intenzionalmente programmato, e che la dinamica sociale non procede per linee dritte.

Essendo ingenuo, è anche necessariamente interventista. Egli non può ravvisare l’errore dell’autorità che “cagiona” malessere sociale come eccesso, ma solo come difetto di intervento. È difficile infatti ipotizzare – in un contesto mediamente “democratico” – che i provvedimenti dell’autorità politica siano intenzionalmente diretti a creare malessere; non rimane allora che individuarne la causa nell’omissione d’intervento.  L’acuta analisi politica del comunista ha perciò una fine e un fine inevitabile: la perorazione di un nuovo e ulteriore intervento legislativo e amministrativo dello Stato, diretto a fronteggiare il malessere “emergente”. La spirale interventistica si alimenta dunque di questa ingenua rappresentazione “antropomorfica” del divenire sociale, in virtù della quale il comunista è incline a ravvisare sempre nuove “emergenze” determinate da omesso impedimento umano; un po’ come i danni del terremoto dell’Aquila determinati dall’omessa previsione dell’evento.

Egli ignora che l’intelligenza umana è necessariamente dispersa e conseguentemente il sapere scientifico e tecnologico del consesso sociale cresce, in funzione della libertà, e decresce, in funzione dell’omologazione forzosa. Ogni uomo possiede un piccolo frammento del sapere universale e un patrimonio esclusivo, cognitivo e relazionale, che ne fa il migliore custode dei suoi interessi personali e familiari. Meglio di chiunque altro conosce il suo microcosmo e le relative necessità; egli solo possiede la chiave per finalizzare le sue cognizioni alla sua scelta di vita e cioè agli interessi e ai valori di riferimento.

Ogni uomo peraltro, accedendo a una serie di informazioni privilegiate, se non esclusive, può trarne intuizioni economiche e suggerimenti specifici, in ordine a opportunità di investimento e impiego, sconosciute agli altri. Tali intuizioni possono rivelarsi proficue e conducenti, alla prova dei fatti, seppure inizialmente considerate temerarie. Il successo di una iniziativa economica è decretata dal mercato e pertanto la verifica ex post è necessaria per discernere le iniziative economiche valide. Non è il sinedrio dei dottori dell’economia, in veste di valutatori e programmatori ex ante, a determinare il successo economico; il gradimento del pubblico è l’unica unità di misura del migliore utilizzo delle risorse, espresso dalla prevalenza dei ricavi sui costi.

Il comunista ignora l’altra caratteristica del processo cognitivo dell’uomo, in ragione della quale l’ordine di mercato è superiore all’ordine programmato. Karl Popper ci ha insegnato che il sapere umano procede per tentativi; la teoria scientifica che spiega il fenomeno osservato è valida, fino alla successiva teoria che la confuta; l’applicazione tecnologica della teoria è la più opportuna e più economica, fino alla successiva scoperta tecnologica. E poiché il progresso scientifico procede per verifiche e tentativi di confutazione, l’autentico sapere scientifico è solo quello che si sottopone alle verifiche di confutazione. Ne consegue che la circolazione delle idee e la libertà di ricerca sono i presupposti fondamentali del progresso cognitivo, mentre la pianificazione politica, per sua natura, autoritaria e non confutabile, mortifica il progresso scientifico e tecnologico, perché opera necessariamente la reductio ad unum di teorie e tecnologie, essendo finalizzata a indirizzare e “raddrizzare” la dinamica spontanea dell’ordine economico-sociale.

In sintesi, il comunista ignora che la superiorità dell’ordine spontaneo rispetto all’ordine programmato è la necessaria conseguenza di due fattori: la superiorità dell’intelligenza dispersa e diffusa, rispetto all’intelligenza centralizzata; la necessità che le idee e il successo delle relative applicazioni siano confutabili e perciò verificabili ex post. Per la sua stessa ingenuità, il comunista è necessariamente supponente. Nel rappresentarsi il mondo inesistente delle “linee dritte” e nel leggere i fatti e gli accadimenti della vita secondo il solo metro del determinismo politico, esalta l’autorità politica in guisa di demiurgo della storia (anzi della Storia in maiuscolo) ed esalta se stesso, in guisa di compartecipe di cotanta salvifica missione.

Al comunista non può mancare la spocchia intellettuale: sente il suo rango comunque superiore a quello dei suoi simili, qualunque gradino occupi nella scala sociale, poiché ritiene di essere parte integrante e pedina importante di un vasto programma di indirizzo economico e orientamento culturale dell’intero consorzio umano. È un chierico sprovvisto di umiltà: indica la strada da percorrere ai suoi simili, innalzandosi sopra di loro, come il pastore sopra il gregge; e mentre il pastore cristiano riconosce i limiti della sua condizione umana, il pastore comunista condivide l’arroganza del potere, giacché opina di contribuire con la sua parte politica a redimere e salvare l’umanità su questa terra, non già nell’altra.

(4/Continua)


di Michele Gelardi