Da circa un trentennio lo scrivente raccoglie prove sulla più importante operazione golpista in Italia, nota al grande pubblico come “Mani Pulite” (o Tangentopoli). “Mani Pulite, in cui il combinato disposto tra avvisi di garanzia e veline che escono illegalmente dalle procure – scrivono Nicola Scalzini e Roberto Giuliano nel libro “Le Fake News su Bettino Craxi” – ed i media, i quali a loro volta amplificano (volutamente o involontariamente) notizie parziali e di parte, criminalizza un’intera classe politica”.

Scalzini e Giuliano hanno pubblicato documenti e memorie del decennio 1983-1992, e l’opera edita da Solfanelli reca prefazione di Stefano Parisi ed introduzione di Renato Brunetta. Un tassello importante. Del resto da queste pagine avevamo già raccontato come l’operazione “Britannia” venne orchestrata dalla speculazione finanziaria internazionale per eliminare Bettino Craxi. Quest’ultimo era l’unico ostacolo alla svendita degli asset italiani agli stranieri (multinazionali e fondi speculativi), ergo 007 finanziari (legati a George Soros e altri), magistrati, alti dirigenti di Stato e giornalisti si riunirono per orchestrare la fine della Prima Repubblica, ponendo sulle spalle di Craxi le colpe dei suoi predecessori e di chi era subentrato al suo governo. Craxi subiva così la gogna mediatico-giudiziaria: caduto il politico, sei mesi dopo la riunione sul Britannia, Soros operava la grande speculazione allo scoperto sulla lira italiana. E’ l’inizio della fine, economia distrutta ed Italia governata dai pubblici ministeri.

“L’aver voluto confondere e mischiare la corruzione con il finanziamento illegale alla politica è stato un atto diabolico per distruggere i partiti e dunque la democrazia nel nostro Paese – spiegano Giuliano e Scalzini – ma, il combinato disposto magistratura deviata e mass-media, comunicano volutamente al Paese in modo distorto l’immagine di una classe politica tutta corrotta…” delle fake news fa parte la storia del “famoso tesoro di Craxi, che non è mai esistito, ma era necessario demolire la sua immagine e farlo comparire come un approfittatore, un riprovevole ladro”.

Ecco che la stampa attribuiva a Craxi ogni responsabilità, anche di essere un dittatore, un personaggio autoritario, un pericolo per la democrazia. “Si potrebbe dire che quelle furono propedeutiche prove tecniche di criminalizzazione – aggiungono Scalzini e Giuliano – nei confronti di un ‘potente’ prima di passare all’azione finale che si concretizzo mediante le Mani cosiddette Pulite.

Altra prova generale di manipolazione della realtà, prima di Craxi, fu quella del cosiddetto teorema del pm Pietro Calogero, nei confronti dei brigatisti rossi. Tale magistrato considerò che tutti coloro che, politicamente, esprimevano consenso per le Brigate Rosse potevano essere identificati come fiancheggiatori degli stessi, dunque perseguitati penalmente, al di fuori del fatto che avessero commesso o meno reati. Tra questa teoria e quella espressa dall’ex pm di Mani Pulite oggi membro togato del Csm Piercamillo Davigo c’è una grande assonanza: per il procuratore Calogero prima o poi avrebbero commesso reati, per Davigo “non esistono politici innocenti ma colpevoli su cui non sono state raccolte le prove”. Questo strappo alla legalità democratica e allo stato di diritto – precisano gli autori – venne motivato dalle condizioni di emergenza in cui si trovava il Paese.

Ma come nascono le fake news contro Craxi e perché fanno breccia nell’animo degli elettori? “Da un punto di vista psicologico le fake news si basano sulla memoria corta del popolo e sulla sua ignoranza – continuano Scalzini e Giuliano – e nel senso etimologico del termine, sul lungo periodo trascorso dall’evento che si vuole manipolare e, principalmente, sulla compiacenza e capacità di condizionamento degli strumenti di comunicazione di massa. In questi ultimi anni, in cui è in corso una concreta rivalutazione della figura di Bettino Craxi, assistiamo, in occasione del ventennale dalla sua scomparsa, al goffo tentativo di presentarlo come il primo sovranista ed anche anti europeo”.

Prima di Craxi, spiegano, “prevaleva dunque nella classe politica e sindacale del Paese una notevole insensibilità a politiche di serio controllo dei conti pubblici, malattia che ogni tanto ricompare anche di questi tempi e che allora era aggravata da una elevata instabilità che si manifestava nel frenetico avvicendarsi di governi di brevissima durata. In quattro anni, dal 1979 al 1983, si formarono sei governi, quello Craxi incluso”.

Infatti i media dimenticano di dirci che Bettino Craxi lasciava un debito di 417 miliardi di euro. “È difficile sostenere che possa essere il responsabile della creazione dell’attuale debito che ha superato 2400 miliardi”, fa notare Giuliano. “Anche a chi osserva che il debito non vada valutato in valore assoluto, ma in rapporto al prodotto lordo si può replicare che durante il governo Craxi il rapporto debito/Pil aumentò di circa 20 punti, da circa il 70 per cento all’89 per cento valore che attualmente è all’incirca quello medio europeo (il nostro debito è oggi il 134 per cento)” aggiunge Scalzini.

L’altro elemento che incrementava la spesa derivava dall’alto costo del debito, che aveva subito un’impennata in conseguenza del divorzio tra la Banca d’Italia e Tesoro: deciso due anni prima dal ministro diccì Beniamino Andreatta. Ma i giornali non ricordano che il socialista Rino Formica (e lo stesso Craxi) aveva avversato il divorzio di Bankitalia dal Tesoro.

Ma gli italiani ci passano sopra e prendono per buona ogni trovata dei media: per dirla alla Franco Ferrarotti (ci ha fatto un libro) siamo “Un popolo di frenetici informatissimi idioti”.

“Craxi governò in tutto (tra gabinetto I e gabinetto II) circa 4 anni  – racconta Renato Brunetta nell’introduzione – nel 1987, quando lasciò Palazzo Chigi, il Paese era in piena riscossa economica: inflazione dal 17,7 per cento al 4,6 per cento; rapporto deficit/Pil dal 16,7 per cento al 12,6; pressione fiscale dal 37,5 al 35 per cento; Pil da 765 miliardi a 890 miliardi. In quegli anni il governo aveva, inoltre, messo in piedi un piano infrastrutturale del Paese necessario per ridurre il gap dell’Italia con le altre potenze economiche: aumentarono le reti di trasporto, il tutto a vantaggio della mobilità e del progresso dell’industria italiana. L’Italia venne indicata dagli osservatori internazionali come esempio da seguire. Le società di rating assegnarono al nostro Paese la tripla A, raggiungemmo il quinto posto nella graduatoria dei Paesi industrializzati – chiosa Brunetta – ed entrammo nel gruppo dei sette Paesi più forti, il G7”.

E poi nel libro c’è la botta a Romano Prodi. “Probabilmente – scrivono Giuliano e Scalzini – il dotto economista (Salvatore Bragantini) era distratto quando Craxi bloccò la svendita della Sme (la finanziaria del più grande gruppo Agroalimentare, che all’interno aveva varie società) operata dall’allora presidente dell’Iri Romano Prodi in favore del suo amico di merenda Carlo De Benedetti, per rivenderla all’estero come già aveva fatto con i gruppi Buitoni e Perugina (comprate per 300 milioni di lire e vendute 2000 milioni). Per dovere di cronaca Prodi cedeva la Sme a 400 miliardi di lire, mentre la cordata sollecitata dal governo Craxi ne offriva 600 miliardi di lire.

In quel momento non se ne fece nulla, ma successivamente solo la società Autogrill (che apparteneva alla Sme) fu venduta alla famiglia Benetton come emerge da una interrogazione parlamentare di Nichi Vendola presentata il 29 settembre 2003 nella seduta numero 363”. Eccovi uno stralcio dell’interrogazione di Vendola: “... Edizione Holding, società considerata come ‘cassaforte’ della famiglia Benetton, ha rilevato Autogrill insieme alla catena supermercati Gs per soli 700 miliardi di vecchie lire e ha rivenduto, meno di 3 anni dopo, la sola rete Gs (e senza il patrimonio immobiliare) al gruppo Carrefour per 6.000 miliardi di vecchie lire con una plusvalenza di 4.500 miliardi di vecchie lire; con tale plusvalenza la famiglia Benetton ha potuto procedere all’acquisto del 30 per cento della Società autostrade al prezzo di 5.000 miliardi di vecchie lire, passando poi con l’Opa del 2003 al possesso dell’83 per cento del pacchetto azionario…”.

Del resto, nonostante l’avversione profonda nei riguardi del leader socialista, anche Eugenio Scalfari non poté negare su “Repubblica” del primo marzo del 1987: “La legislatura volge al termine ed è possibile tentarne un primo consuntivo... l’inflazione è discesa dal 16 al 4 per cento e questo è stato il risultato più apprezzabile e più vistoso dei quatto anni che ci stanno alle spalle”.

Scalzini e Giuliano hanno così dimostrato che “Le Fake News su Bettino Craxi” hanno trovato il favore di certa stampa, la stessa che oggi s’erge guardiano della verità. Si spera in un elettorato sveglio e libero, sempre meno preda dei manipolatori.

Aggiornato il 08 ottobre 2020 alle ore 12:06