La fine delle libertà individuali piace ai servi della globalizzazione

Nei giorni del dopo referendum in tanti si domandano se sia stata ferita la Costituzione. Se abbia perso la politica o vinto i partiti, e se le libertà collettive (oggi globali secondo certi) stiano soverchiando quelle individuali. Si potrebbe asserire che hanno vinto i partiti in modo trasversale, e che il singolo elettore sarebbe destinato a perdere comunque. E perché i cittadini stanno al sistema come i giocatori al banco… e le regole sono sempre destinate ad essere fissate da pochi. Ecco perché si fa un salto nel tempo a metà anni ‘60 dello scorso secolo, per meglio comprendere come le libertà siano da sempre un bene prezioso, e che a dircelo siano stati i poeti. Ma veniamo all’esempio. Pier Paolo Pasolini era davvero poco allineato (e gestibile) da parte dell’alta burocrazia del Partito comunista italiano: su di lui pendevano le stesse remore ed antipatie partitiche già manifestate dai dirigenti del Pci verso Ennio Flaiano e Curzio Malaparte. Il problema era sempre lo stesso, la non acquiescenza intellettuale verso le politiche di libertà collettiva, l’irrefrenabile egoismo dei liberi pensatori troppo sbilanciati verso le libertà individuali.

Così Pasolini fece sfregio alla dirigenza dell’allora Pci incontrando Ezra Pound e George Orwell, autori ritenuti distanti anni luce dalle istanze d’una società che sarebbe dovuta divenire sempre più collettiva (oggi diremmo, seppur con evidenti differenze, globalizzata). E lo sfregio toccava vette inusitate nella nota intervista del poeta italiano di Casarsa all’esiliato Pound. Non si fa certo peccato a ricordare che, così Pasolini s’era reso inviso a tutta la partitocrazia italiana: il Pci di Luigi Longo lo gelava ed il Msi di Arturo Michelini non era disposto a difenderlo (Ezra Pound era un simbolo per extra parlamentarismo neofascista). Pasolini, non pago, filmava un suo monologo contro la società e la partitocrazia (oggi visibile in rete, ieri secretato nelle teche Rai) accusando tutte le parti in commedia politica di omologazione culturale. Oggi la stessa accusa d’omologazione e d’acquiescenza alla “libertà globale” andrebbe rivolta ai vari Nicola Zingaretti, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, rei d’aver detto e fatto le stesse scelte dei seguaci di Beppe Grillo. Tutti colpevoli di non aver compreso i rischi a cui sono esposte le libertà costituzionali. Colpevoli (e ciechi) acquiescenti verso la prospettiva che porterebbe la società globale a limitare le nostre libertà costituzionali. Limiti che verrebbero imposti per difendere i grandi operatori economici e finanziari, per difendere il potere (e non i popoli) dal terrorismo globale e, ultime arrivate, le difese sanitarie per le sempre più frequenti epidemie e minacce varie per la salute collettiva.

In parole povere, per in bene collettivo (e globale) dovremmo rinunciare alla democrazia parlamentare ed alle libertà individuali. E forse, con vari piccoli colpi di spugna, vedremmo estinguere cultura e dottrina giuridica costruita in secoli. Così, scusa i vari rischi globali, l’Italia sceglie una via autocratica e prona a quel sistema che vorrebbe sostituire i diritti costituzionali dei cittadini con le regole utili al “partenariato pubblico-privato”: ovvero quel sistema di norme che nei fori internazionali rende gli stati soccombenti verso le multinazionali. Un fenomeno involutivo, che genera un feudalesimo cibernetico, nel quale i tecnologici servi della gleba vengono controllati dalle security delle multinazionali, ormai parificabili alle polizie dei singoli stati (anzi più forti, e perché il poliziotto è un vigile urbano di paese se confrontato con un addetto alla sicurezza d’una multinazionale): lo abbiamo già visto con le indagini della Procura di Lecce sui contadini ribelli che ostacolavano l’oleodotto Tap. Di fatto il cittadino retrocede a suddito, perdendo così il bagaglio delle libertà individuali.

Il problema delle Libertà fondamentali è un concetto classico, dibattuto fin dall’antichità: trova corrispondenza nella filosofia del diritto, oltre che nella storia del diritto italiano, nel diritto costituzionale e nella sociologia del diritto. Aristotele, Platone, Socrate hanno sentito l’esigenza di dibattere sul tema delle libertà individuali almeno quanto Kant, Hegel, Marxs, Gentile, Croce... Ma oggi l’uomo medio italiano (forse anche planetario) prova quasi vergogna nella difesa delle libertà individuali, poiché convinto che le libertà globali debbano essere il fine ultimo della lotta politica. E qui s’innesta l’impostura, infatti le libertà globali non sono altro che la base del nuovo diritto feudale: viene espropriata la libertà dei singoli, al fine d’edificare l’esercizio del diritto da parte dei potenti della terra su tutto. Questi ultimi pongono sullo stesso piano l’omicida e la vecchietta che non paga una tassa: com’era costume giudiziario nelle monarchie assolute, dove la povera gente veniva punita indipendentemente dal delitto commesso. Forca che egalitariamente poneva sullo stesso piano ladri, assassini, mendicanti e nemici del potere. E la giustizia italiana, a cui credono sempre meno cittadini, s’è da tempo incamminata verso antichi sentieri pregiacobini.

Sempre meno gente rammenta che le libertà individuali sono l’insieme delle libertà proprie e inalienabili di ogni individuo. Comprendono la libertà d’opinione, la libertà di spostarsi sul suolo nazionale, la libertà d’espressione e manifestazione del pensiero, di religione... quindi politica e di fede. In uno stato democratico, le libertà collettive sono comunque quelle la cui titolarità spetta comunque al singolo: ma sono collettive perché acquistano significato attraverso l’esercizio che di esse facciamo in più soggetti. Collettivo non significa che un singolo ci debba incarcerare per il bene del pianeta, o schiavizzare perché la globalizzazione ne tragga beneficio. Poi ricordiamoci che la libertà di associazione e di riunione è di tutti, e non solo di chi s’è preso la gestione del Paese. La nostra Costituzione pone come principi fondamentali dell’uomo queste libertà fondamentali. L’articolo 21 della Costituzione italiana sancisce che “ognuno ha diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero”, anche se troppi italiani s’autocensurano o reputano la libertà di pensiero possa renderli invisi al potere. Certo molti articoli della Carta andrebbero aggiornati alla “rivoluzione social”: come l’articolo 15 sulla libertà e segretezza della corrispondenza e d’ogni altra forma di comunicazione (non avevano previsto Facebook e compari). Per noi tutti non più ragazzini le libertà fondamentali sembrerebbero scontate, inalienabili.

Ma ora qualche dubbio fa capolino, perché a mettere mani alla Costituzione saranno gli uomini di Zingaretti, Salvini, Meloni e Beppe Grillo: e tutti, dico tutti, sarebbero capaci di mandare in galera Pasolini per le sole poesie e dichiarazioni. Nessuno degli attuali parlamentari forse ha mai letto Pasolini, Pound, Orwell… ma non c’è eletto tra Camera e Senato che non consideri i cittadini dei sudditi a cui andrebbero limitate libertà personali, politiche e culturali. Quanto sta succedendo veniva preconizzato in uno storico video in cui Gianroberto Casaleggio dava per ineluttabile la fine della democrazia così come l’abbiamo conosciuta nel passato secolo: quindi spiegava che, perché vinca la libertà globale ci verrà chiesto (credo imposto) di rinunciare a quella individuale. In certe parti del Pianeta ci sono da tempo forze dell’ordine (private o a contratto col pubblico) che giurano fedeltà al potere e non certo rispetto di carte costituzionali o difesa d’istituzioni: sempre più polizie difenderanno il potere dall’ira dei popoli. E se scrivessimo di questi fatti all’infinito, comunque non bucheremmo la cappa indifferenza che ci avvolge.

Aggiornato il 25 settembre 2020 alle ore 10:40