L’Italia taglia la casta, ma si consegna al diavolo

Non solo i giallorossi resteranno fino al 2023, ma questa compagine stolta e marcia rischia di governare cinquant’anni se il centrodestra non sarà capace di una correzione immediata e decisiva, come ha ammesso pure Daniele Capezzone: “Il centrodestra deve risistemare la sua offerta”. Attenzione, uno schieramento benché al tracollo che dovrà strutturare la nuova architettura del Parlamento, le riforme, la legge elettorale, nominare il Capo dello Stato e amministrare i 750 miliardi del Recovery fund, potrebbe imporre il peggior statalismo fondato su centralismo, diversità e sostituzione etnica, per cui l’Italia di oggi e degli italiani non esisterà più in futuro! Per ora tutti hanno vinto, ma l’inversione forte ha perso. Quanto al Referendum il 69,64 per cento ai Sì è un chiaro voto anticasta, l’illusione del popolino di sbarazzarsi dei politici mangiasoldi se non con le urne col taglio ai parlamentari, la vittoria dell’antipolitica fondata su una campagna stampa falsa e gonfiata, in cui le ragioni del No, passate nonostante tutto dal 5 per cento al 30 per cento, sono state relegate e imbavagliate. Una vittoria che i 5 Stelle provano a intestarsi a copertura del calo nelle Regioni, con Luigi Di Maio in delirio. Invece è stato un voto trasversale della casta stessa, che si riduce e si concentra nel potere assoluto secondo i piani di Licio Gelli, ma purtroppo sono lupi travestiti da agnelli.

Il voto nelle Regioni, il 3 a 3 con le rosse Marche strappate alla sinistra ma con la Puglia e la Toscana in cui la “spallata” non è riuscita, rinsalda il premier Giuseppe Conte e il governo traballante. Come ha detto il segretario del Pd Nicola Zingaretti: “Scampato pericolo, fermata l’avanzata della destra sovranista e di Salvini in particolare. Ora si apre la stagione delle riforme e il cantiere politico coi 5 Stelle”. Né cadute né rimpasti, dunque, il Pd punta alla fusione coi grillini per vincere a mani basse nel 2023. “Punta al pappa e ciccia “, ha ironizzato Maria Giovanna Maglie, secondo la quale “prima o poi inciamperanno sui loro piedi”. Staremo a vedere. Sicuramente il centrodestra c’è, ma è fragile. Qual è stata la formula vincente di questa tornata? I governatori sono la formula per il futuro e il centrodestra ne ha 15 contro 5 dopo l’exploit del 75 per cento del “leghista in doppio petto” Luca Zaia in Veneto, dopo la riconferma del forzista Giovanni Toti nella Liguria di Grillo e dove i giallorossi si erano presentati uniti, nonostante il 69 per cento dello “sceriffo” però supercritico coi suoi alleati Vincenzo De Luca in Campania. Ahimè, le scelte di Raffaele Fitto in Puglia contro il bis di Michele Emiliano e di Stefano Caldoro in Campania erano un flop annunciato. Gli italiani hanno premiato non le casacche e il vecchio schema, ma il buon governo, l’amministrazione efficiente, il decisionismo, la dirigenza capace contro l’antipolitica. Nel super fortino rosso della Toscana il 40,4 per cento di Susanna Ceccardi è un risultatone contro Eugenio Giani al 48,6 per cento, e dimostra che la sinistra è battibile se le “nuove, brave donne e uomini” avessero un po’ più di spazio e immagine, non solo l’ultimo giorno.

Chi ha perso sono Matteo Salvini e Giorgia Meloni, anche se la Lega è il primo partito e Fratelli d’Italia cresce. Non hanno perso i loro partiti, ma l’icona che essi rappresentano e che gli è stata affibbiata dalla sinistra, affinchè la interpretassero a vantaggio della tenuta della maggioranza sgangherata e invisa, che si regge su un solo elemento: l’antifascismo, che va dalla coppia Ferragni-Fedez all’ultimo cittadino se non è un nostalgico o di apparato. Qualora Salvini e Meloni non la smetteranno di fare il gioco dell’avversario non ci sarà partita e le sinistre vinceranno sempre anche con il caos, il Covid, la crisi, gli immigrati al bivacco e la guerre nelle strade. Salvini francamente mi pare bruciato, perché quando un ministro dell’Interno che ha chiuso i porti, fermato gli sbarchi, impedito a una nave Ong di attraccare a ferragosto molla il governo vuol dire che ha commesso un imperdonabile errore di affidabilità. E poi per fare cosa, per proseguire nelle strette di mano in giro ovunque? Si governa così, per darci Luciana Lamorgese? Salvini è un ottimo “portavoce”, ma non un leader in grado di traghettare il paese in questo momento cruciale. La Lega dovrà pensare a questo considerando l’ottima classe dirigente.

Diversamente Giorgia Meloni se vuole resistere dovrà decisamente darsi una élite culturale, una destra liberale alta, lontana dalle risse e beceri attacchi, un gotha di pensatori colti e onesti, dovrà lei stessa moderare i toni, mostrare spessore e stile per rappresentare una squadra numerosa, ricca di qualità, fatta di persone in carne ed ossa, nomi, volti e storie dell’Italia dei talenti italiani. Su questo deve lavorare Giorgia Meloni se è una vera patriota, cominci a fare le selezioni, si dedichi a questo, abbandonando lo stolto egocentrismo fomentato dall’avversario, nel rispetto di un elettorato sicuramente maggioritario, che è l’Italia che può salvare l’Italia nelle arti, nella cultura, nella scuola, nella produzione, nell’innovazione, nella scienza, nel giornalismo, nella moda, nel turismo, nell’enogastronomia. Oltre a proseguire il lavoro di “fusione” con Forza Italia e con l’ausilio di tutta Forza Italia e di Silvio Berlusconi. Due blocchi, Lega e liberali contro i sinistrismi. Alla Meloni spetta questo compito importante per la democrazia e per il paese: superare gli opposti estremismi, fare lo spillover politico e portare l’Italia fuori dal comunismo occultista ed esoterico del piano P2. Giorgia sa di cosa sto parlando e ce la può fare. Con la cultura e con la fede.

Aggiornato il 22 settembre 2020 alle ore 12:21