I torti di Sergio Zavoli nei confronti di Frate Mitra

Anche la cosiddetta narrazione agiografica di un mostro sacro del giornalismo divulgativo all’italiana come fu Sergio Zavoli contiene qualche eccezione che conferma poi la prassi e la regola. Nel caso in ispecie quella eccezione è contenuta nella puntata de “La Notte della Repubblica viaggio nelle radici del terrorismo brigatista e non solo dedicata alla cattura di Renato Curcio e Alberto Franceschini alla stazione di Pinerolo, nel torinese. E al ritratto non lusinghiero  e in ciò conformista ai desiderata dell’epoca della sinistra – della figura di Silvano Girotto, in arte “Frate Mitra”, che poi fu quello che a Curcio e Franceschini li fece catturare. Mentre una provvidenziale soffiata dall’interno delle istituzioni salvo le terga a Mario Moretti che doveva cadere anche lui nella trappola. La soffiata venne raccolta dal medico Enrico Levati, modesto fiancheggiatore brigatista, e poi girata a Moretti per vie ancora oscure.

Se Moretti fosse stato catturato già nel 1974 probabilmente nel 1978 non avrebbe potuto fare il regista della strage di via Fani e del sequestro di Aldo Moro, tanto per dirne una. Ma Girotto, in quella puntata de “La Notte della Repubblica” viene dipinto come un individuo losco che fa arrestare i due “idealisti” – “buoni” sarebbe tropo – delle Br, lasciando invece libero il “militarista” Moretti. E poi chissà chi era questo infiltrato. E magari lo mandava la Cia o qualche servizio deviato e così via. Peccato che Girotto volesse fare catturare anche Moretti, come raccontò alla Commissione stragi – portatoci dal sottoscritto in qualità di consulente nel lontano 10 febbraio del 2000 – che mai si era degnata nella sua decennale vita di sentirlo prima di allora. E oltre a raccontare come andarono veramente le cose non come le descrisse Zavoli nella puntata de “La Notte della Repubblica” – disse di aver agito in buona fede e di non essersi infiltrato per conto di nessuno, ma semplicemente di essere stato contattato dagli allora ancora ingenui brigatisti perché lui in Sudamerica era stato un prete guerrigliero con i Tupamaros.

Di qui il nomignolo di “Frate Mitra”. E articoli sui giornali che ne amplificarono la fama nei primi anni Settanta. Solo che, dopo essere stato a colloquio con i “brigatisti in erba”, Girotto si rese conto che erano dei pazzi e dei futuri assassini a sangue freddo di uomini delle istituzioni democratiche e non di certo dei guerriglieri che combattevano dittature come quelle sudamericane dell’epoca. Di qui la sua decisione di rivolgersi ai carabinieri di Dalla Chiesa che conosceva sin da giovane per delle storie di furti di auto, suoi errori di gioventù. Prima di farsi prete.

Una storia interessante che poteva essere anche raccontata da Zavoli, come più volte chiese lo stesso Girotto con richieste di rettifica alla Rai. Ma Zavoli preferì insistere nella versione che dipingeva lui come un traditore delle vecchie Br e come un agente provocatore mandato chissà da chi. Per la cronaca, quella fama a Girotto è costata parecchio: non ebbe alcun premio in denaro per la cattura di Curcio e Franceschini e ha vissuto tutta la vita come un profugo più che un esule. Riparando all’estero e vivendo senza cambiamento di identità del proprio mestiere di elettricista. Che puntualmente si interrompeva con un licenziamento non appena qualcuno soffiava al datore di lavoro i suoi “precedenti”. Che sostanzialmente consistevano nell’aver fatto arrestare Curcio e Franceschini!

Oggi Girotto vive in Africa e fa il missionario laico, Curcio e Franceschini coltivano il proprio mito di brigatisti puri e non duri e Zavoli riposa in pace considerato un mostro sacro del giornalismo italiano. La vita spesso è così.

Clicca qui per leggere il resoconto stenografico della seduta della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi del 10 febbraio 2000

Aggiornato il 06 agosto 2020 alle ore 19:05