Ieri si è ricordato il quarantesimo anniversario della strage di Bologna e, oltre al sentito cordoglio per le vittime, si avverte nettamente la tragica nostalgia per la sinistra di un tempo. Quella sinistra per bene di Sandro Curzi (nella foto), di Rossana Rossanda e di tutti quelli che prima degli altri si posero il dubbio che quella della strage di matrice aprioristicamente fascista fosse una montatura. Solo molti anni dopo giunse Francesco Cossiga a confermare che la matrice fascista fu un depistaggio. Ma ormai il film era bello e confezionato: le stragi le fanno i cattivi, i fascisti sono cattivi, la strage è di matrice fascista. Cosa resta di quella sinistra per bene? Tolto Emanuele Macaluso e pochi altri attempati stimabili uomini con la schiena dritta, della sinistra per bene rimane ben poco. Ci sono solo macerie, opportunismo, cospirazioni buone per rimanere al governo anche quando si sono perse le elezioni e tanta, tantissima maleducazione. Dicono che le piazze siano di sinistra: sarà forse da questo che deriva il termine piazzata intesa come rimostranza sguaiata e scomposta.

Di piazzate ne abbiamo viste molte fuori dal palazzo: dai finti selfie chiesti a Matteo Salvini per avvicinarlo e ingiuriarlo, ai collettivi che impediscono con violenza i comizi dell’altra parte politica per poi arrivare alle sardine che invadono “pacificamente” le piazze elettorali degli avversari con l’intento di contestarli impedendo loro di parlare. Di piazzate nelle istituzioni (fulgido esempio è stato il voto per mandare Salvini a processo) preferiamo tacere per carità di Patria: per la classe politica invochiamo la semi infermità morale (nel senso che la moralità questi la ignorano) e la serialità visto che sono circa quarant’anni che tentano di eliminare gli avversari con cospirazioni internazionali e giudiziarie. Ma torniamo alla prepotenza e alla maleducazione, tema dal quale eravamo partiti: crediamo che forse un esempio eloquente di maleducazione sguaiata, piazzaiola e impenitente sia ben rappresentato dalla vicesindaca Pd di Proserpio, Veronica Proserpio, la quale, pochi giorni orsono, si è avvicinata all’ex ministro Salvini per attaccarlo a sangue freddo.

“Rovina il nome di questa bellissima città”, gli ha detto avvicinandosi al suo ombrellone non prima di essersi assicurata che qualcuno riprendesse la scena. Per nulla pentita, ha poi rincarato la dose sui social ove, rilanciato il filmato, ha commentato: “Non ce l’ho proprio fatta. Mi avvicino sorridendo al cazzaro verde e gli dico di vergognarsi per le sue esternazioni. Il seguito è nel video”. Non si tratta quindi di un atto estemporaneo di cui pentirsi successivamente: ingiuriare uno in spiaggia, trasudando odio personale e non politico, è una ganzata di cui andare fieri, perché tu ti senti nel giusto e cioè là dove ritieni che la storia ti abbia collocato.

Chi non lo capisce va mascariato sul posto di lavoro, nelle istituzioni, nella società, nel mondo della cultura, nello spettacolo. Senza rispetto, con violenza, con maleducazione. Ed è quasi come se sentissi che la storia ti ha assegnato questo compito perché tu sei il buono e gli altri sono cattivi, tu sei l’illuminato e gli altri luridi topi di fogna che meritano di essere ricacciati da dove sono arrivati. Gli ultimi rigurgiti del peggior Sessantotto che stenta a terminare o forse l’ultima reazione frustrata all’imminente autoinflitta estinzione della sinistra.

Aggiornato il 03 agosto 2020 alle ore 09:41