L’Ue esiste ed è esigente

lunedì 22 giugno 2020


Il Commissario della Unione europea Karel Van Miert spesso ripeteva: “L’Unione europea è simile ad un treno lento ma che non si ferma mai”; proprio in questi giorni stiamo scoprendo che una simile definizione era ed è giusta. In un momento, infatti, di grandi delusioni sull’operato della Unione, in un momento in cui assistiamo ad una misurabile crisi comportamentale tra Paesi sovranisti e non, in una fase in cui alcuni Paesi mettono in discussione la moneta unica dell’euro, in un momento in cui un Paese di grande rilevanza strategica come la Gran Bretagna esce dalla Unione, in un momento in cui alcuni Paesi membri come l’Austria e la Ungheria mettono in crisi la validità dell’accordo di Schengen, di fronte ad un imprevisto come la pandemia prodotta dal Coronavirus, la Unione europea è diventata riferimento chiave, riferimento risolutore capace, attraverso un polmone di risorse davvero inimmaginabile, di superare una delle crisi economiche più gravi vissute dal dopo guerra, una delle crisi molto più preoccupante di quella vissuta nel continente americano nel 1929.

Come ho avuto modo di precisare in un precedente blog, non è questa, a mio avviso, la forza e la testimonianza della Unione quanto il decalogo che la stessa Unione ha inviato ai singoli Paesi in cui sono elencate le riforme necessarie da compiere per poter accedere al volano di risorse messo a disposizione. Per questo penso sia utile soffermarsi su due punti, su due particolari criticità: la prima è la velocità con cui i vari Paesi predisporranno le proprie riforme per accedere concretamente ai vari fondi (Recovery Fund, Mes, Fondi Bce, Fondi Coesione e Sviluppo, Fondi Bei, ecc.), la seconda è legata alle scelte operative che i singoli Stati della Unione, attraverso il sollecito utilizzo delle risorse, adotteranno per modificare l’assetto strategico dell’intero impianto infrastrutturale comunitario.

Ebbene, in questa gara nel programmare e nell’attuare le riforme l’Italia non sarà veloce e questo, purtroppo, graverà in modo negativo sulla reale ed immediata copertura dei bilanci dell’Italia, ma questa lentezza nell’accesso alle risorse anche se grave preoccupa di meno rispetto alla seconda criticità; infatti elenco solo alcuni esempi da cui penso emerga in modo trasparente il rischio di penalizzazione, il rischio di marginalizzazione che il Paese potrebbe vivere già nel breve periodo.  In particolare i possibili esempi sono di seguito riportati:

1) Utilizzando i fondi messi a disposizione la Bulgaria potrebbe decidere di investire, in modo organico e mirato, nella riorganizzazione funzionale del porto di Burgas nel Mar Nero rendendolo così un Hub chiave dell’area orientale della Unione

2) Il Portogallo, utilizzando i fondi messi a disposizione, potrebbe decidere di implementare ulteriormente l’impianto portuale di Algesiraz realizzando in tal modo un riferimento portante più incisivo per le grandi navi container in ingresso e in uscita dal Mediterraneo

3) I ritardi accumulati nella realizzazione dell’asse ad Alta velocità Lione-Torino e Brescia-Verona-Vicenza-Padova, cioè i ritardi accumulati dall’Italia nella realizzazione del Corridoio comunitario delle Reti Ten-T “Algesiraz-Kiev”, potrebbero portare la Francia e la Germania a privilegiare l’asse Lione-Parigi-Strasburgo-Est europeo

4) I ritardi accumulati nella realizzazione dell’asse ferroviario Genova-Milano (Terzo Valico dei Giovi) potrebbero fare abbandonare gli interessi olandesi nella realizzazione del Corridoio Rotterdam-Genova e in tal modo le nuove risorse sarebbero trasferite in altri interventi

5) La lenta realizzazione delle opere ubicate in Sicilia nella tratta ferroviaria Av/Ac Palermo-Messina-Catania (dopo cinque anni praticamente solo progettazioni), l’abbandono del collegamento stabile tra il continente e la Sicilia, potrebbero portare la Comunità a ridimensionare l’estensione del Corridoio comunitario Helsinki-La Valletta fermandolo a Verona. In tal modo si penalizzerebbe tutto l’impianto produttivo emiliano romagnolo, laziale, campano e si emarginerebbe ulteriormente l’intero Mezzogiorno.

Queste considerazioni, o meglio, queste preoccupazioni, cambiano le potenzialità strategiche del sistema logistico della intera Unione europea e l’Italia rischia di perdere il suo ruolo determinante nella offerta portuale di tre grandi Hub come Gioia Tauro, Genova e Trieste, rischia di perdere la forza economica e logistica di cinque Regioni come il Piemonte, la Lombardia, la Liguria, l’Emilia-Romagna ed il Veneto in cui si concentra il 65 per cento della movimentazione delle merci del Paese ed in cui si rende possibile la creazione di oltre il 55 per cento del suo Prodotto interno lordo, rischia di perdere funzionalmente un Corridoio comunitario, quello definito Helsinki-La Valletta che si configura come la spina dorsale del sistema socio economico del Paese e della intera Unione europea.

Sono i miei allarmismi inutili, sono gratuiti pessimismi ? Purtroppo no. I Paesi membri della Unione europea cercheranno in tutti i modi di utilizzare, in tempi brevi e certi,  procedure e strumenti diversi dai nostri, strumenti cioè diversi dal Codice Appalti o diversi dagli organismi bloccanti come l’Autorità di Regolazione dei Trasporti, come l’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac), come la Corte dei Conti.

Quindi sarebbe bene identificare con la massima urgenza un polmone di metodologie entro cui insilare quegli interventi che utilizzeranno i fondi comunitari, quegli interventi che devono, ripeto devono, essere il riferimento portante per la crescita organica della nostra offerta infrastrutturale, per la crescita del Paese. Purtroppo questa mia rischia di rimanere una semplice dichiarazione di buona volontà specialmente quando si scontra con annunci programmatici privi di copertura finanziaria.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole


di Ercole Incalza (*)