L’Europa non ci vuole granché bene, ma nemmeno i giallorossi amano il Belpaese

La crisi finanziaria del 2008 colpì le principali aree avanzate e produttive del mondo, ma fra i Paesi coinvolti alcuni ne uscirono rapidamente, persino migliorando le loro prospettive economiche, altri ne vennero fuori con qualche lentezza in più, ed altri ancora, rimasero così fiaccati da trascinarsi per anni con ritmi di crescita insufficienti o addirittura inesistenti. La pandemia da Covid-19 non sta altrettanto risparmiando nessuno a livello globale, né sul piano sanitario e nemmeno su quello economico-sociale, ma anche per quanto riguarda lo tsunami generato dal maledetto virus, è assai ipotizzabile che un’importante fetta del pianeta sia in grado di archiviare la pandemia, e le pesanti conseguenze occupazionali, in maniera non catastrofica, mentre un’altra parte di umanità subirà maggiori fatiche e sacrifici. Se si arriva da qualche anno di crescita economica si è senz’altro più prosperi e più capaci di reggere l’urto di chi viene, come l’Italia, da un lungo periodo di stagnazione, però ciò che determina la forza di una nazione nel riuscire a non soccombere ad una crisi come questa e a ripartire con slancio, è l’efficienza e l’autorevolezza delle istituzioni, che, in un bilanciamento ordinato di poteri fra il governo centrale e le amministrazioni territoriali, sono o perlomeno dovrebbero essere considerate superiori alla lotta politica spicciola.

Chi anima la politica nazionale, in particolar modo chi ha responsabilità di governo, deve rispettare tutti i vari livelli decentrati di potere e non si deve permettere di fare distinzioni tra gli enti locali presieduti da compagni di partito o di coalizione e quelli guidati da avversari. Il nostro Paese, oltre ad ingarbugliarsi quando diventa necessario decidere con una certa solerzia, (l’elusione delle riforme in senso presidenziale o semi-presidenziale si fa sempre più sentire), non ha ancora raggiunto oppure ha disperso nell’ultimo ventennio quella maturità istituzionale grazie alla quale l’unità nazionale in momenti di crisi diventa una cosa seria, pur senza annullare le ovvie e vitali diversità politiche, essenziali per una democrazia. Ce ne siamo accorti eccome, in questi tempi di Coronavirus. Il governo giallorosso chiede più o meno da metà febbraio la concordia nazionale e quindi di evitare polemiche il più possibile, ma se l’opposizione di centrodestra si è mantenuta finora piuttosto equilibrata, (Matteo Salvini e Giorgia Meloni vengono finanche criticati da alcuni delle loro rispettive basi per eccesso di moderatismo), numerosi esponenti dei partiti della maggioranza, forse istigati dallo stesso premier Conte e certamente coadiuvati da giornali come Il Fatto Quotidiano, esercitano assidui attacchi nei confronti della Lombardia a guida leghista.

Nella regione più importante d’Italia, dal punto di vista economico, il Coronavirus si è rivelato senza dubbio più aggressivo che in altre aree del Paese, e tuttora la Lombardia rimane sorvegliata speciale. Questo autentico dramma viene cavalcato per destabilizzare la credibilità della giunta regionale, come se la maggiore incidenza del virus in Lombardia fosse responsabilità diretta del governatore Fontana e dell’assessore Gallera. È sottinteso che attraverso Attilio Fontana e Giulio Gallera si voglia bombardare, politicamente parlando, la Lega, Salvini e il resto del centrodestra. Con lo sciacallaggio politico e mediatico non si unisce la nazione e non la si irrobustisce di fronte alle sfide epocali, e questo è uno dei momenti più drammatici della Storia italiana. Quando poi gli altri Paesi europei ci schifano e ci trattano come se fossimo gli untori del Vecchio Continente, come se il Covid-19 si fosse allargato solo nella nostra penisola, giustamente ci arrabbiamo un po’ tutti, al di là delle appartenenze politiche.

Nel momento in cui l’Austria parla di corridoi manco fossimo la Jugoslavia in guerra dei primi anni Novanta, oppure quando la Grecia impone la quarantena agli “infetti” di Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, sapendo benissimo che nessun potenziale turista proveniente dal nord Italia accetterebbe mai una vacanza siffatta, avvertiamo senza dubbio l’ipocrisia della tanto decantata solidarietà europea. Ma il ministro Luigi Di Maio, che esige rispetto dai partner europei, e la sua richiesta non è ovviamente sbagliata, dovrebbe prendersela anche con alcuni suoi connazionali, anzi, con alcuni suoi colleghi pentastellati, i quali, promuovendo la nota campagna negativa e strumentale contro Fontana e Gallera, offrono all’estero l’immagine di una Lombardia come se fosse la Wuhan d’Europa, non solo dell’Italia, e questa caratterizzazione horror si riflette sull’intero Paese la cui situazione, se vista da fuori, sembra ancora del tutto incontrollata ed incontrollabile.

Per la fotografia di nazione appestata possiamo ringraziare un certo Riccardo Ricciardi e il suo sguaiato discorso alla Camera, ed anche l’ex ministro Danilo Toninelli, con pochi meriti, ma dotato di un invidiabile curriculum di gaffe, che ritiene la Lombardia una delle peggiori regioni italiane in assoluto. Questi miracolati del grillismo curano gli interessi dell’Italia tanto quanto Sebastian Kurz e Mark Rutte. Il cancelliere austriaco e il premier olandese, al netto delle contraddizioni di questa Ue, non hanno comunque l’obbligo di amare il Belpaese e fanno sostanzialmente il loro gioco, ma non vi sono scuse per quegli italiani che remano, in modo deliberato e consapevole, contro una parte del loro stesso Paese.

Aggiornato il 03 giugno 2020 alle ore 11:23