La sfida cinese all’Occidente

Ricordate il grido moroteo di: “La Dc non si farà processare nelle piazze!”? Ebbene, sembrerebbe che con il Covid-19 il potere assoluto di Xi Jinping abbia preso alla lettera quella lezione rinnegando il limite del multilateralismo, cosa che potrebbe portare il Dragone corazzato cinese a confrontarsi presto con l’Occidente e con gli Usa in particolare, trincerandosi all’interno delle ex mura imperiali della Città Proibita. Gradualmente ma inesorabilmente stanno tornando indietro tutti i Cavalli di Troia della globalizzazione incontrollata che avevano permesso a Pechino di acquisire tecnologia e know-how occidentali, tramite il trasferimento forzato della proprietà intellettuale imposto alle imprese occidentali all’atto della delocalizzazione o della costruzione di nuovi impianti, dando così slancio alla sua lunga rincorsa alla supremazia mondiale drogata da una gigantesca supercapacità produttiva finanziata dallo Stato cinese. La pandemia ha messo infatti in luce ciò che tutti sapevamo ma che le élite globalizzate fingevano di ignorare: ovvero, che fin troppe produzioni strategiche sono pericolosamente migrate in territorio asiatico e cinese, in particolare, e che il gioco economico favorito dai consumi di massa si è fatto sempre più geopolitico e geostrategico. Così le legioni di studenti cinesi che avevano trovato dimora privilegiata ed esclusiva nelle più prestigiose università americane, si sono convertiti in tanti catalizzatori di tecnologie e conoscenze avanzate, funzionando dal 2012 in poi come fedeli soldatini del Celeste Impero. Il gioco dei dazi unilaterali e della chiusura dei mercati interni da parte cinese (con la scusa che loro erano un Paese in via di sviluppo con una sterminata popolazione sotto la soglia di povertà!) è destinato a finire.

Se noi europei fossimo uniti, alla Road&Belt Initiative cinese contrapporremmo un progetto simile ma ancora più ambizioso da tre trilioni di euro da realizzare sul nostro continente. Solo in Italia, sovvertendo e eliminando progressivamente i monstrum urbani delle megalopoli, si potrebbe sviluppare un urbanesimo molto più moderno, alternativo e avveniristico sfruttando quel patrimonio unico al mondo che solo noi possediamo, come i borghi antichi e d’arte italiani. Guadagneremmo centinaia di miliardi mettendoli a network con tessuti viari ristrutturati in modo da rivitalizzare le sinergie tra piccoli centri e campagna, dotandoli di quelle tecnologie digitalizzate avanzate che consentono a milioni di persone di svolgere a distanza tutte quelle attività non legate ai luoghi fisici di produzione, vincolati a impianti industriali e fabbriche. Le risorse pubbliche debbono abbandonare le logiche clientelari della crescita delle partite correnti, per fare da stimolo e volano ai grandi progetti-Paese, come le autostrade informatiche, le linee ferroviarie ad alta velocità, il rilancio a tutto campo della Ricerca e Sviluppo, collegata a una rete di studi universitari completamente innovativi… alla cinese, in quando indissolubilmente legati alla valorizzazione del merito individuale e all’adeguata remunerazione delle competenze qualificate. Ma veniamo ora al tema, dando spazio alla più recente e assai interessante riflessione di Francis Fukuyama sul genere di sfida che il regime totalitario cinese sta imponendo oggi all’Occidente.

Partiamo dai vantaggi competitivi che sono propri del sistema cinese. Innanzitutto, la Cina è stata la prima civilizzazione al mondo a creare uno Stato moderno burocratico e centralizzato, non più guidato dal capriccio e dall’arbitrio dei suoi governanti ma operante secondo regole formali e, quindi, con un profilo impersonale nel trattamento dei suoi cittadini! Gli incarichi ai prefetti governatori delle province venivano assegnati sulla base del merito e i funzionari in questione erano regolarmente avvicendati a cadenze regolari, onde evitare che fossero cooptati nella sfera delle élite locali. Quella dell’epoca Han fu una società dove entrare nella casta dei funzionari civili dell’impero significava salire nella scala sociale. Ma che cosa succede oggi, invece? La colpa è del modello totalitario prescelto da Xi Jinping (che si è fatto nominare Presidente a vita e ha inciso in Costituzione lo Xi-pensiero come nemmeno Mao aveva osato fare!), che ha ferocemente verticalizzato i livelli decisionali precedenti abolendo di fatto il ruolo autonomo dei civil servant sul territorio. Invece, il modello asiatico alternativo di Taiwan, Singapore, Corea del Sud e Hong Kong combina una forte capacità dello Stato alla competenza tecnocratica e le associa a una formula vincente per fronteggiare le future crisi.

Bisogna riconoscere, dice Fukuyama, che noi siamo confrontati a una sorta di riedizione dell’Urss della metà del XX sec., e non a un vero e proprio regime di capitalismo autoritario. Questo perché in Cina non esiste un vero e proprio settore privato, in quanto lo Stato ha la capacità per forza di legge di controllare le aziende private, premettendo ai loro interessi quelli della sicurezza nazionale. Così avviene per Tencent, Alibaba, Huawei. Rispetto a quest’ultima, “sarebbe una follia da parte di qualsivoglia democrazia liberale consentirle di realizzare infrastrutture informatiche strategiche”, come il 5G, visto che potrebbero cadere sotto il controllo dello Stato cinese. In via del tutto generale, gli Usa e le altre democrazie liberali debbono avviare un graduale disimpegno economico dalla Cina. La pandemia ha mostrato, infatti, quanto Europa e America siano pericolosamente dipendenti dalle capacità manifatturiere di un potere a noi ostile”.

Conclusione: sbrighiamoci noi occidentali a riprenderci il ruolo che avevamo in precedenza, anziché aspettare che la Cina cambi da sola nel tempo il suo spirito ultranazionalista che concepisce i rapporti internazionali soltanto in termini di competizione tra super potenze (esempio: i wolf warriors o “lupi da combattimento” con cui si identificano i diplomatici di Pechino), con la conquista di aree di influenza sempre più ampie facendo sfoggio di una sempre più muscolare e invasiva presenza militare!

Aggiornato il 27 maggio 2020 alle ore 15:45