No assembramenti, no movida, ma il governo offra alternative a venti milioni di giovani

Il doppiopesismo del governo è arrivato ormai al più cinico paradosso. Per tanti poco o nulla, per alcuni invece il privilegio dell’assistenzialismo. E vedremo poi alla fine chi sono questi assurdi privilegiati. Intanto partiamo dai tanti del poco e cioè dai circa 10 milioni di adolescenti italiani e altri dieci milioni di giovani dai 18 anni ai 24, per i quali non esiste un progetto educativo-formativo speciale oltre ai divieti e alle strette regole conseguenti al Coronavirus. No gruppi, no assembramenti, no movida. Meno movida ci sta pure, ma occorre una sana alternativa. Con la sospensione della scuola da febbraio fino al prossimo settembre sono rimasti a casa i ragazzi della scuola dell’obbligo fino ai licei e, a parte la spontanea creatività dei medesimi che si sono impegnati nei concerti sui tetti e sui balconi, per essi non c’è stata nessuna misura se non che una generica forzosa “digitalizzazione”, che li ha gettati nel web senza preparazione con un sovraccarico di lavoro per famiglie e docenti.

I fondi sono stati stanziati dal ministero della Pubblica Istruzione: 70 milioni per implementare la conoscenza del web e la dotazione di computer, ma la formazione non è scattata. E non è scattato neppure un piano alternativo alla scuola per la gestione dei 10 milioni di bambini e dieci milioni di adolescenti. Anzi le notizie sono sconfortanti perché gli asili nido, per esempio, sono in chiusura due su tre, mancando i fondi delle rette e non essendo disponibili altri fondi speciali. Anche se è stato istituito il bonus baby sitter, ma come altri bonus non sono sempre le soluzioni più idonee, perché in questa condizione di emergenza sanitaria non è facile trovare la giusta persona a cui affidare i figli. E poi, per i più grandicelli la baby sitter non basta. Ci vuole la scuola, che deve saper trovare anche in condizioni di emergenza formule alternative di impegno e di partecipazione. Ci devono pensare i genitori con tutte task force le di saggi cervelloni esistenti? E non ci si venga a dire che ne serva un’altra per trovare una soluzione all’estate dei giovani italiani? Insomma, cosa può fare la popolazione verde? Non quello che non debbono fare, scandito da 60mila “assistenti civici”, ma quello che possono e debbono fare attuato dai tanti senza lavoro.

È un’ottica diversa che va messa in campo. Serve un piano giovani, perché questa è l’Italia da far crescere e da portare a livello. E serve un piano che coniughi giovani, arte, spettacolo, sport e turismo. Esattamente i settori più colpiti dall’emergenza virale. Un piano che sappia strutturare le modalità di partecipazione e interazione, cioè che indichi il come fare, e non solo un’azione punitiva e limitativa. Oltre tutto sappiamo che fino ai trent’anni i rischi di contagio sono inferiori, per cui impegnando questa parte della società lasciamo i più adulti liberi di vivere maggiormente protetti. C’è anche una ragione sociale, se non fosse il virus. Che è quella di sanare le piaghe dello sballo e della droga, ossia di una nuova generazione disimpegnata falcidiata da incidenti. Perché non ci concentriamo su di loro, sui nostri ragazzi e ragazze, perché non consideriamo che sono la linfa vitale di un paese, la migliore economia, la necessaria politica? Ora poi che anche le sardine hanno deciso di sciogliere il movimento, perché non li pensiamo tutti uguali e tutti aventi diritto i nostri giovani invece di dividerli in tifoserie e per alcuni i Benetton e per altri lo sbando?

Con tutti i teatranti e professionisti dello spettacolo fermi, con tutte le società sportive bloccate, con i musei e il turismo al palo, invece di sognare stranieri che non ci saranno, non possiamo pensare a un’estate speciale giovani? Per esempio l’esperienza del “volontarismo” (viaggio + volontariato) in voga nel mondo anglosassone non potrebbe essere un utile esempio, tanto per farne uno? Non di sola sinistra può vivere un paese e quello che spesso viene tacciato di conservatorismo deprecabile è invece è la parte mancante della cultura azzoppata italiana. Serve una società che sappia integrare tutte le culture e che ci porti fuori da questo rissoso discrimine intellettuale scaduto nella peggiore faziosità. Io credo ci si debba mettere subito al lavoro. Centri sociali, comuni e forze nazionali per invertire la rotta dei divieti e costruire quella delle cose da fare. Occorre una piattaforma, un portale che metta in rete le esperienze possibili, che coniughi le offerte del mondo dell’arte, dello spettacolo. C’è questo portale? Si farà? Non si fa nulla per una intera fascia della popolazione e si è fatto troppo per fasce marginalissime.

Ma avevamo così disperato serio bisogno del portale “Infotrans” per la popolazione transgender? È andato on line due giorni fa, sbandierato come il “primo portale istituzionale in Europa per le persone transgender” e come fiore all’occhiello frutto della collaborazione tra il Centro di Riferimento per la medicina di genere dell’Istituto superiore di sanità e l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali – presidenza del Consiglio dei ministri, secondo i quali il progetto risponde all’esigenza di favorire una piena inclusione sociale. Quanto è costato? E a che serve questa propaganda trasgressiva quando la base dei giovani è senza uno Stato che li contempli? Ma qui si sta violando la Costituzione oltre che la morale. Tutti sono uguali, non solo i diversi.

Aggiornato il 27 maggio 2020 alle ore 15:44