Costruire l’alternativa liberale in Italia non è semplice. È stato difficile per Margaret Thatcher e Ronald Reagan, in un’area culturale da sempre refrattaria alle suggestioni statalistiche, figuriamoci nell’Italia odierna, che detiene il primato (nel mondo occidentale) di invasività della cosa pubblica nella cosa privata. Le recenti vicende dell’emergenza Coronavirus lo dimostrano con estrema chiarezza: in nessun altro paese la sfera intima della persona è stata violata come in Italia, al punto che le passeggiate in solitudine sono state prima “vietate” e successivamente “concesse”. Due facce della stessa medaglia: la libertà personale non è considerata un diritto, ma una benevola concessione di Stato. E se ciò è stato possibile nel campo dei più elementari diritti di libertà personale, teoricamente garantiti dalla Costituzione, figuriamoci quello che accade nel campo della libertà di iniziativa economica, giammai riconosciuta come diritto e miseramente relegata al rango di “interesse legittimo”. L’ipotetica Thatcher italiana, a differenza dell’omonima inglese, avrebbe un bel da fare a disboscare la fittissima selva della legislazione socialcomunista, sedimentata nei decenni.

Se manca quest’amara consapevolezza, qualunque programma di alternativa liberale, ancorché sostenuto da un’ampia e solida coalizione, non può essere credibile e realistico. Ha scritto bene l’onorevole Giuseppe Basini sul Tempo del 29 aprile che “la Lega resta la più grande riserva di energia nuova a servizio di un possibile risorgimento della Nazione e può davvero essere una forza compiutamente liberale”. Sono d’accordo con lui: la base di partenza dell’alternativa liberale c’è già, non dobbiamo cercarla. Posto ciò, bisogna lavorare sul programma di “disboscamento”. Mi pare abbastanza condivisa, nell’area liberale, l’idea che debbano essere eliminati “lacci e laccioli” che imbrigliano l’attività d’impresa. Il primo passo non può che essere l’eliminazione di tutte le procedure di autorizzazione preventiva e nulla osta. Solo nel settore delle armi e degli esplosivi, è insita una pericolosità intrinseca, di tal natura, da giustificare un preventivo controllo d’ingresso.

In tutti gli altri campi, l’imprenditore può senz’altro assumere su di sé la responsabilità di avviare l’esercizio dell’attività economica nel rispetto dei vigenti criteri di igiene e sicurezza, avendo il solo onere di comunicarlo alla Pubblica amministrazione. Al contempo deve essere liberalizzata la destinazione d’uso degli immobili, alla sola condizione che siano resi idonei all’uso cui li si vuole destinare. Se tale programma fosse enunciato con lo slogan “liberiamoci dal mostro burocratico”, ipotizzo che potrebbe avere un vasto consenso. Ma tutto questo non basta, perché andrebbe comunque a innestarsi su un corpus iuris ben diverso da quello anglosassone. Qualunque tipologia di ingresso nel mercato, per quanto semplificata al massimo livello, potrebbe incontrare l’interposizione dell’atto amministrativo del pubblico ufficiale, malizioso o inetto.

E proprio qui, di fronte a quest’atto amministrativo – che supponiamo pretestuoso e illegittimo – si può vedere l’abissale differenza tra i due sistemi: nel mondo della Thatcher e di Reagan, l’imprenditore illegittimamente ostacolato adisce l’autorità giudiziaria, per chiedere un risarcimento dei danni cagionati da rinvii sine die, pretestuosi o dilatori; in Italia può adire solo il Tar per chiedere l’annullamento dell’atto illegittimo. Non può chiedere il risarcimento dei danni, perché non è stato leso alcun suo diritto, posto che un diritto non è nato prima dell’atto amministrativo di autorizzazione. Insomma tutto ciò che non è stato espressamente e previamente autorizzato non costituisce diritto, proprio come il “vezzo” di camminare in tempi di Coronavirus, vietato o concesso secondo il mutevole arbitrio dell’autorità. A mio avviso, un programma di vera alternativa liberale deve partire dalla solenne affermazione che il diritto preesiste all’intervento dello Stato, come la persona nasce prima dell’iscrizione nel registro dell’anagrafe.

Lo Stato ha il dovere di riconoscere il diritto (preesistente) della persona; giammai compie un atto costitutivo, da cui nasce il diritto. I corollari di questo principio sono importantissimi. Eliminare realmente i “lacci e laccioli” burocratici significa non solo semplificare necessariamente le procedure, ma anche prevedere il “risarcimento dei danni” cagionati da eventuali “lacci e laccioli” illegittimamente frapposti dal burocrate di turno. E fin quando l’amministrazione non sarà costretta a risarcire (magari in solido con il pubblico ufficiale) i danni cagionati, si curerà poco di un’eventuale sentenza del Tar, la quale tutt’al più annulla l’atto illegittimo, dà un colpo di spugna sul passato e dispensa niente più che un “consiglio” per il futuro. “Chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato, scordiamoci il passato” questo è il motto del Tar; ciò che è accaduto è “nulla”; poco importa che sia stato cagionato un grave danno economico, ciò che importa è che l’atto illegittimo sia “annullato”, sia cioè restituito al “nulla” da cui ha avuto origine.

Ovviamente questo stesso motto si applica alle vicende Coronavirus. Atti amministrativi che “sospendono” il vigore della Costituzione (contro il parere del presidente della Corte), lesivi dei diritti della libertà personale, di movimento, di culto religioso, di riunione e quant’altro, palesemente sproporzionati e addirittura controproducenti (se si pensa che passeggiare all’aria aperta rafforza il sistema immunitario) forse saranno sottoposti al vaglio del Tar, per iniziativa di avvocati volenterosi. Non ne sortirà alcun “ristoro” delle afflizioni subite da tutto il popolo italiano, in guisa di arresti domiciliari unici al mondo (se si esclude la Cina).

La perdita della libertà non avrà alcun risarcimento, che possa fungere da monito e freno per future violazioni del diritto. Questo accade quando la libertà non è un vero diritto, ossia quando la sua lesione non dà luogo ad alcun risarcimento. Ovviamente, i danni patrimoniali da “lacci” burocratici sono diversi dai danni morali da emergenza Coronavirus, tuttavia l’accostamento ha ragion d’essere, perché rende chiara – in ambiti diversi – l’uguale soggezione della persona individuale alla maestà dello Stato, che tutto “vieta” e tutto “concede”, senza dover rendere conto dei suoi atti. Senza l’obbligo di rendiconto, a carico dello Stato come del cittadino, non potrà mai vedere la luce una vera alternativa liberale.

Aggiornato il 07 maggio 2020 alle ore 11:29