Tira tira la corda si spezza

Mentre quei dubbi sul virus e sulla Cina che abbiamo scritto dall’inizio, si vanno amplificando nella speranza che la verità vera venga a galla, perché con i comunisti non fidarsi è d’obbligo, in Italia la corda è vicina al punto di rottura. Del resto che gli italiani siano stati bravi oltre misura è provato dal fatto che stiano sopportando l’insopportabile e stupisce che la maggioranza faccia finta del contrario come se la pazienza fosse infinita, se quel pezzo del paese martoriato dalla crisi, più che esasperato fosse imbambolato. Sia chiaro parliamo di un pezzo e non ci stancheremo di ripeterlo, perché tra le colpe maggiori del governo, c’è quella di aver spaccato inaccettabilmente in due l’Italia, l’apparato statale garantito da una parte e quello tormentato del privato dall’altra. Una realtà che da sola basterebbe a chiedere le dimissioni di un esecutivo di qualsiasi colore, perché un governo di fronte a un’emergenza di portata tale, non può non porsi il problema di una revisione e redistribuzione della spesa pubblica per equità sociale

Oltretutto di una spesa piena di sprechi, sperperi, costi per pagare enti inutili, organismi e aziende inservibili, stipendi fuori tetto e fuori mercato per pagare quella burocrazia riconosciuta il male più grande della democrazia. Insomma è incredibile che da anni si parli di Spending review, di chiusura degli enti inutili, delle aziende cosiddette elettorali, delle clientele e delle caste, tanto da averne fatto imperativo per una due diligence di stato, e adesso che sarebbe l’occasione il tema sia scomparso e tacitato. Insomma non è più sopportabile che dalle parti della maggioranza non ci si ponga la questione, non si affronti la materia, anzi addirittura si proceda in senso inverso, caricando ancora di più il bilancio dello stato di costi per i quali è difficile trovare la ragione. Ci riferiamo alla scuola, dove i giovani sono sempre meno, tanto è vero che una volta le sezioni prendevano molte lettere d’alfabeto e le classi erano piene, mentre oggi a fatica se ne utilizzano due o tre, eppure si parla di decine di migliaia di assunzioni di personale

Come si parla di statalizzazioni aggiuntive Alitalia in testa, roba che se facessimo il totale di quanto sia costata la compagnia di bandiera tra finanziamenti, commissari, sostegni e impegni di bilancio, verrebbe la pelle d’oca, nonostante ciò si insiste sulla stessa strada. Eppure se c’è una ragione per la quale l’albero nostro sia venuto storto è proprio lo statalismo e l’assistenzialismo sfrenato, il paga pantalone sempre, la spesa di stato usata per il voto, il portafoglio di tutti trasformato in ammortizzatore anziché promotore di sviluppo, crescita e d’intrapresa. Lo stesso con le tasse, perché il fisco non nasce per sperperare in posti inutili, in compensi da sceicco, in provvedimenti elettorali, la creazione di enti clientelari, per salvataggi senza speranza, ma per fornire prestazioni e servizi efficienti, supporto agli indigenti e investimenti infrastrutturali. Ecco perché da noi le tasse sono diventate una ossessione una persecuzione, perché il problema vero non è solo l’evasione e l’elusione che certo vanno combattute, ma lo sperpero insostenibile che si è creato per mantenere un apparato pubblico gigantesco, costoso, in parte inutile e dannoso.

Per questo adesso che sarebbe indispensabile utilizzare la leva fiscale a favore del segmento produttivo, dalle piccole alle grandi imprese, partite Iva, artigiani, commercianti, professionisti, il governo se ne buggera e rimanda, perché è terrorizzato di pagare gli stipendi e i costi pubblici in eccesso. E anziché cogliere l’occasione per rimodulare, tagliare, recuperare una barca di miliardi da destinare alla riduzione delle tasse e al sostegno a fondo perduto per chi è stato chiuso, pensa per un verso a rimandare le scadenze per l’altro a mandare milioni di cartelle e di gabelle. Per farla breve il governo si preoccupa di sé stesso, dell’apparato pubblico mica del privato che è stremato dalla crisi, alla faccia della democrazia e della conoscenza dell’economia dello sviluppo. Per non dire del resto a cui assistiamo nella maggioranza, basterebbe pensare alle gravi accuse tra Alfonso Bonafede e il magistrato Nino Di Matteo, se fosse successo col centrodestra saremmo alla rivolta, oppure agli sberleffi di Matteo Renzi a Vincenzo Spadafora sul calcio, o tra i grillini e il Pd sul Mes, tra Francesco Boccia e le Regioni. Parliamo di un governo che ritiene immorale una pace fiscale ma vorrebbe condonare 600mila clandestini irregolari, che manda a casa mafiosi e delinquenti ma tiene chiusi imprenditori e negozianti, che fa nomine pubbliche da stipendi milionari e lascia che i prestiti bancari nonostante le promesse siano più immaginari che concreti, ma non dovevano avvenire in 24 ore? Ecco perché scriviamo tira tira la corda si spezza, perché il paese che produce è allo stremo, non regge, non fattura, altroché trasferimento delle scadenze fiscali per pagare gli statali, con quali soldi, quale fatturato, quale incasso?  Che piaccia o meno “accà nisciuno è fesso”

Aggiornato il 05 maggio 2020 alle ore 12:50