Il decreto fuffa per gli aiuti alle imprese

In questi giorni nelle redazioni, manco fossimo tutti adepti della setta del culto misterico di Pulcinella, siamo stati invasi da varie versioni della bozza del “Decreto legge recante disposizioni urgenti per il sostegno alla liquidità delle imprese e all’esportazione”. Quelli da poco tempo iniziati ai misteri, ancora inesperti, si sono concentrati sulle parole “sostegno”, “imprese”, “liquidità” ed “esportazione”, gli altri su “disposizioni urgenti”. Così, data l’urgenza, è partita la caccia al decreto vero e, soprattutto, alle disposizioni che ne regolano il funzionamento, dato il grado criptico del testo e l’urgenza effettiva di chi ne dovrebbe essere il destinatario. Si sono sentiti diversi imprenditori, commercialisti e qualche direttore di filiale bancaria. L’esito di questi dialoghi è ciò che qui viene riportato, dato che è preferibile rimanere ancorati alla realtà, anziché essere degli esegeti, e ancor meno gli apologeti, di un testo ancora probabilmente in fieri, con procedure attuative di là da venire.

Quando poi questo ci sarà, lo si commenterà a dovere. Bisogna dire subito che tutte le categorie che sono state consultate, indicate sopra, si sono fatte in quattro per dare delle risposte, dare informazioni aggiuntive e anche delineare scenari che spesso, purtroppo, e soprattutto da parte di piccoli imprenditori (i più interessati, in quanto diretti interpreti delle notizie, non avendo uffici stampa o osservatori legislativi), finiscono per aderire ai loro desideri più che alla realtà. A questi si deve subito una grossa dose di realismo, di onestà intellettuale, un ceffone che li svegli dallo stato ipnotico di dichiarazioni scatenate nelle ultime ore dagli uffici stampa della maggioranza di governo, tutti impegnati nella televendita delle loro pentole di bassa qualità e servizi di piatti con scene di caccia.

La televendita recita che il governo ha messo a disposizione delle aziende 400 miliardi di euro (ma qualcuno si spinge fino a 800 miliardi, in un crescendo degno di Cetto La Qualunque) per farle ripartire, risolvendo i problemi di liquidità. Questa è, ovviamente, la prima menzogna ed è facile da smascherare. Tutti gli interessati hanno perfettamente capito che si tratta di prestiti, più o meno condizionati. Più difficile è far capire il non detto. I prestiti in questione sono garantiti per fasce, una fascia minima, fino a 25mila euro, garantita al 100 per cento dallo Stato, poi altre fasce, più elevate, sotto e sopra 800mila euro, con garanzia dello Stato al 90 per cento o all’80 per cento a seconda della fascia (tutti numeri che si è costretti a dare per provvisori fino a che non si vedrà il documento definitivo). Ma come funziona questa garanzia dello Stato? E a chi è rivolta? E chi lascerà fuori? Balza subito agli occhi il fatto che fino a 25mila euro la garanzia c’è, è al 100 per cento e questo consente di ottenere il prestito senza istruttoria da parte della banca. Salvo ulteriori ed eventuali precisazioni nel testo definitivo.

Questo sembra essere il caso più semplice, oltre che quello più a cuore di alcuni piccoli imprenditori con cui si è dialogato, e lo si terrà per ultimo. Per quanto riguarda i livelli di fabbisogno più elevato, essendoci un 10-20 per cento non garantito dallo Stato, ma, si dice, da Confidi, le banche saranno costrette ad effettuare l’istruttoria, per cui il risultato di sistema più ovvio sarà che le aziende che prima del lockdown (il blocco alle imprese, come lo chiamano quelli bravi) non godevano di merito del credito elevato o, anche, che hanno subito un deterioramento del loro rating proprio a causa del blocco, rischiano di non essere finanziate o rischiano di esserlo a condizioni non ottimali. Secondo una stima di Adnkronos le aziende potenzialmente escluse sarebbero circa il 6,16 per cento. Non si sa quanto possano incidere quelle nel limbo delle difficoltà.

Quel che è certo è che per questa fascia di aziende, che sono la stragrande maggioranza, si è di fatto aggiunto un ulteriore strato di burocrazia e di procedure difficili, costose e con tempi di esecuzione di difficile valutazione, mentre certi rimangono i tempi degli adempimenti fiscali, rimandati scandalosamente di un niente rispetto al reale fabbisogno delle aziende. Per quanto riguarda le piccole imprese, invece, il decreto sembra essere più chiaro. Ma anche amichevole. Ammiccante. Ma è solo un prestito, ma garantito dallo Stato, dicono gli interlocutori sentiti, piccoli imprenditori. Ma chi garantisce lo Stato? I debitori? No, lo Stato garantisce le banche. I debitori dovranno restituire tutto e a tassi che ancora non sono affatto chiari. Lo Stato garantirà che, nel caso in cui gli imprenditori non restituiscano, le banche erogatrici si possano rivalere sullo stesso Stato. Ovviamente questo vale anche per gli importi più elevati. Per essere ancora più espliciti, cari imprenditori, vi state per indebitare ancora di più.

Vi indebitate per pagare puntualmente il fisco e i debiti che avete già contratto con le vostre banche, oltre che i dipendenti e i fornitori. E il debito che contraete, va scritto a lettere cubitali, non è a fondo perduto. Se non restituirete il prestito, lo Stato lo chiederà alle vostre imprese e a voi. E l’Agenzia delle Entrate vi raggiungerà ovunque e su qualunque vostro bene o reddito presente e futuro. Questo vi sta chiedendo il governo. Vi sta dicendo che questa crisi la pagherete voi, cari imprenditori, perché non ci sono soldi, ma solo garanzie. La liquidità la dovete generare voi, gestire voi, pagare voi, anche se avete chiuso per responsabilità e per il bene comune. Ma voi imprenditori, anche voi piccoli, il nostro ristoratore, il gestore del bar sotto casa, il parrucchiere, l’autista Ncc o il tassista, o anche l’artigiano falegname, ciabattino, bottegaio, sappiate che non siete voi i veri destinatari di questa televendita da quattro soldi, ma lo sono altre categorie che sistematicamente vi vengono scagliate contro in una costante guerra sociale che parzialmente riflette, salvo brevi periodi con tentativi di rottura, l’arco parlamentare che si è costituito.

Non siete voi imprenditori i destinatari del blocco, ma i dipendenti, soprattutto statali o comunque pubblici, categorie salve, non toccate dalla crisi. E i pensionati, soprattutto quelli che non vedono situazioni critiche, ad esempio, delle aziende dei figli. Di questi non frega niente, non portate i vostri voti lì, ma, salvo eccezioni, altrove. E poi siete, per definizione, evasori. E lo siete anche per decreto, dall’ultima legge di stabilità. Lasciate perdere. Chiudete. Chiedete il reddito di cittadinanza.

Aggiornato il 09 aprile 2020 alle ore 11:34