Apparenza tanta, sostanza poca

Per annunciare l’ennesimo decreto la scena è sempre uguale, la storia che giudicherà, il modello copiato dal mondo, con l’aggiunta visto che si avvicina Pasqua, di una riflessione confusa sull’interpretazione dei cristiani e dei laici. Anche qui scusate il pelo nell’uovo, ma tant’è che arrivi pasqua, andrebbe detto che essere laici mica significa essere atei? Dunque che c’entra la sottolineatura del Premier? Sia come sia andiamo al sodo a proposito di uova.

Anzi a dirla tutta piuttosto che al sodo andiamo alla sorpresa dentro l’uovo, e qui si scopre che nel decreto, al di là delle apparenze di uno Stato Paperoni de Paperoni e a conti fatti, di soldi veri, immediati, messi sui piatti, c’è molto meno di ciò che sembrerebbe. Innanzitutto si tratta di garanzie sui prestiti, e già qui sorge il primo distinguo, perché chi, ha dovuto rinunciare ad esercitare, incassare e guadagnare, andrebbe risarcito con l’erogazione di un fondo perduto anziché di un credito agevolato.

Insomma un prestito è ben diverso dalla refusione almeno parziale di una perdita secca legata alla chiusura generale, peggio ancora se legato ai distinguo che le banche e la burocrazia metteranno in mezzo inevitabilmente prima di erogare fattualmente. Oltretutto anche sul sistema delle garanzie di Stato a fronte dei prestiti all’economia reale ci sarà da vedere, perché che piaccia o meno il rischio che possano arrivarci anche ferri vecchi e

  attività bollite, esiste, col risultato di scaricare addosso a pantalone altri costi a profusione. È visto che nel governo giallorosso l’idea di statalizzare ancora di più è nota la preoccupazione non è infondata, potremmo ritrovarci con una spesa pubblica ingigantita al posto del contrario che sarebbe necessario.

Ma al netto di questo particolare che non è poco, resta la farraginosità dello strumento, perché tra il dire e il fare bisognerà vedere il tempo per avere i soldi sul conto, altrove nel mondo si è già provveduto a bonificare i sostegni stanziati e previsti, dall’America all’Inghilterra alla Germania. Come se non bastasse sul fronte fiscale si conferma la mancanza di visione, perché ritardare di un po’ ogni obbligazione è un contentino per chi dopo un fermo prolungato dell’attività si ritroverà a dover pagare sia il pregresso e sia il corrente avendo incassato poco o niente.

Per farla breve si dovrebbe azzerare almeno in proporzione l’importo della tassazione, perché si chiama Agenzia delle Entrate mica solo per lo stato, se nel privato le entrate non ci sono, per quale ragione dovrebbe pagare. Posticipare vuol dire solamente aggravare una situazione drammatica di suo, per non dire della complicazione che si genererà nella compilazione dei modelli visto che da noi anche nella normalità è una follia, figuriamoci cosa uscirà fuori fra errori, anticipazioni, calcoli sbagliati e possibili omissioni.

Parliamo di un caos fiscale che alla fine considerata la persecuzione della riscossione porterà a un mare di cartelle, accertamenti, insomma sarà un tormento ulteriore per tutti i cittadini già stressati da quello che avranno passato in questo periodo disgraziato. Ecco perché diciamo apparenza tanta ma sostanza poca, se ci fosse stata nel governo una strategia chiara per la crisi, anziché suggestionare gli italiani con cifre roboanti per apparire competenti, si sarebbero già visti i risultati del decreto di marzo che invece stanno al palo.

A oggi, le aziende, le partite iva, i commercianti, i cassintegrati e il mondo produttivo che è stato chiuso non ha ancora avuto un soldo, mentre l’apparato pubblico è stipendiato regolarmente, a chi tanto e a chi niente, uno Stato serio non divarica la società. non crea disparità tra chi è garantito per definizione e chi è costretto a chiudere per il bene della nazione. Se la cassa pubblica funziona è perché il privato col lavoro e col rischio dell’impresa la sostiene, non è giusto che a soffrire sia solo quel settore, dove sta scritto nella costituzione? e soprattutto nel buon senso di chi dovrebbe programmare la ripresa indirizzando bene la capacità di spesa.

Per ripartire evitando il punto di non ritorno, non servono mille opzioni, serve mettere sul tavolo una cifra valutata bene per compensare due mesi di blocco totale nazionale, parliamo tra il 7 e il 10 percento del Pil, da reperire con un prestito sì ma al contrario, una emissione sostenuta dai cittadini, non forzosa e vantaggiosa per l’impiego e per la resa. Serve di dare all’economia reale una parte di soldi a fondo perduto e una di prestito a costo zero sul serio, stornare una fetta di tasse, utilizzare quell’emissione per pagare i debiti della amministrazione, serve un contribuito per tutti e per intero all’occupazione, aprire ad ogni semplificazione per l’intrapresa e una legge che stronchi la burocrazia e favorisca la democrazia economica.

Insomma serve testa, chiarezza, coraggio e rapidità, un progetto di ripresa e ripartenza, serve altro rispetto a questa maggioranza che chiede collaborazione e se ne buggera dell’opposizione, si autocelebra e dimentica gli sbagli che rischiano di trasformarsi in pericolosi abbagli, e oggi si discuterà del Mes.

Aggiornato il 07 aprile 2020 alle ore 12:32